Il tè è una bevanda consistente in un infuso o in un decotto ricavati dalle sole foglie della pianta arbustiva Camellia Sinensis o anche dalle foglie della medesima pianta talvolta miscelate con spezie, erbe o essenza.
Alla base c’è dunque la Camellia Sinensis, pianta legnosa, originaria delle zone tropicali dell’Asia, della quale oggi vengono coltivate due varietà fondamentali, la Cina e la Assam, nonché pochi altri ibridi. Allo stato selvatico una pianta di tè Cina è molto robusta, può arrivare a tre metri di altezza e vegetare anche un secolo, mentre una Assam può essere alta anche venti metri ma vegeta una cinquantina d’anni circa.
Le piante coltivate però, per evidenti motivi di comodità di raccolta, vengono tenute sempre ad altezze comprese fra un metro ed un metro e cinquanta circa. Ed anche le foglie si presentano differenti: lunghe solo fra i due e gli otto centimetri quelle della Cina, raggiungono anche i venti centimetri quelle della Assam; tutte comunque presentano una forte nervatura centrale sporgente nella parte interna, mentre le nervature laterali curvano verso i bordi, suddividendosi in ulteriori nervature che danno alla foglia un aspetto retiforme a maglie larghe.
I fiori sono piccoli, bianchi e con pistilli dorati; la fioritura ricorre ad inizio dell’autunno, anche se l’esatto periodo è strettamente connesso al clima locale. La riproduzione si ha per normale inseminazione, ma anche per talea, piantando direttamente le foglie con un po’ di gambo. Queste piante possono essere coltivate dall’altezza del mare fino ad altitudini di 2500 metri circa, a seconda delle varie nazioni di produzione: è ovvio che i tè di alta quota siano ritenuti i più pregiati dal momento che il clima rigido rallenta la crescita delle piante contribuendo allo sviluppo ottimale delle foglie per quanto attinente all’aroma e al gusto; la temperatura ideale per la coltivazione delle piante da tè si aggira comunque fra i 10° e i 30°C.
La Camellia Sinensis, in special modo in Cina, ha avuto sempre un ruolo particolarmente importante: non a caso si ritiene che sia stata scoperta dal mitico sovrano She Nong, vissuto fra il 2737 e il 2697, ritenuto fra l’altro padre anche dell’agricoltura, al quale si attribuiscono origini divine: siamo dunque agli albori delle prime civiltà umane. E l’importanza di tale pianta era notevolissima anche presso i monaci buddisti, tanto da collegare l’origine della pianta al monaco Bordhidharma, lo stesso che introdusse in Cina la forma di buddismo zen: il tè era di grande aiuto ai monaci per rimanere svegli durante le lunghe ore delle meditazioni notturne.
Fu soltanto sotto la dinastia Tang, sec. VIII e quindi in epoca già storica, che l’abitudine al consumo del tè si diffuse in tutta la popolazione entrando a far parte della mentalità e dei costumi del popolo cinese: in tal secolo ad opera di Lu Yu si ebbe anche il 'Canone del tè', il più antico e più importante trattato sulla coltivazione, preparazione e degustazione del tè ed al tramonto del medesimo secolo fu introdotta la pratica del 'Tributo del tè', destinata ad avere un grande rilievo nell’ambito dell’economia agricola cinese.
La raccolta iniziava nel giorno ritenuto più propizio del terzo mese del calendario lunare, corrispondente al nostro aprile, e per far sì che il prodotto conservasse tutta la sua fragranza, si iniziava a raccogliere fin dalle prime luci dell’alba, con le piante ancora ricoperte di rugiada, protraendo il lavoro fino al mezzogiorno quando le foglioline, essiccate e polverizzate, venivano ridotte in pasta che, modellata in appositi stampi, prendeva la forma di panetti duri e compatti: così allora veniva commercializzato il tè.
Nella stessa epoca Tang, come testimonianza di affezione all’uso del tè non solo dei nobili ma di vari strati della popolazione, vide la luce il Daguan Chalun o Trattato del Tè, una delle prime opera letteraria su tale argomento, composta personalmente dall’imperatore Huizong della dinastia Song; ed in effetti mentre si andavano moltiplicando le 'case da tè', il consumo da parte dei cinesi tutti andava aumentando fino a sostituire l’uso dell’acqua stessa.
Fra il VI e l’VIII secolo le coltivazioni, dislocate in un primo momento solo in Cina e Giappone, si diffusero anche in India, in Indonesia e nell’isola di Ceylon. Nella vecchia Europa già dal IX secolo erano giunte notizie sul tè attraverso i racconti dei mercanti arabi. Le prime importazioni vere e proprie si ebbero ad opera dei portoghesi che probabilmente avevano conosciuto il tè esplorando il Giappone e da Macao, penisola che avevano in concessione, essi ne portarono in madre patria, alla corte del re Giovanni IV quasi come assaggio per nobili e dignitari, i primi modesti quantitativi fra altre ricche ed abbondanti mercanzie.
Il commercio vero e proprio fu istituito a far data dal 1610 dagli olandesi che per mezzo della Compagnia delle Indie Orientali avviarono la sistematica attività di importazione del tè. In Francia fu conosciuto sotto Luigi XIV, il re Sole, ed è importante l’attestazione dello scrittore Alessandro Dumas padre, secondo il quale la diffusione del tè ebbe un’opposizione non meno vivace di quella subita dal caffé.
Solo successivamente gli inglesi per rispondere alle esigenze del loro mercato seguirono le orme degli olandesi, importando tè con la loro Compagnia Britannica delle Indie Orientali, mentre fra il 700 e l’800 il consumo del tè si diffonde in Europa Centrale, nella Russia di Pietro il Grande nonché nei Paesi Scandinavi.
Si trattava soprattutto di tè verde, ed anzi, a voler essere precisi, circolavano in Europa ben sessanta tipi di tè verde; il consumo di tè nero divenne importante solo alla fine dell’800, quando giunsero sui mercati europei i tè indiani e cingalesi. In Gran Bretagna il consumo del tè ben presto si incrementò tanto da divenire quasi la bevanda nazionale inglese a cui si ricorreva più volte durante la giornata utilizzando miscele di diverse qualità: più forte al mattino, la English Breakfast, più leggera di pomeriggio, il tradizionale Afternoon, prodotte da prestigiose aziende che ancora oggi sono un classico nel settore.
E di tanta e tale tradizione di pura marca inglese oggi, quasi esclusivamente ad uso e consumo dei turisti, si conserva il classico 'tè delle Cinque' servito nelle sale da tè ed accompagnato da una fetta di torta o da tartine variamente condite. In tutto questo sarà interessante notare una curiosità attinente al nome stesso del 'tè', per indicare il quale in Cina si usa il carattere che si pronuncia chà e che in altre regioni costiere si pronuncia tei: orbene laddove il tè giungeva per via terre, e cioè in Russia, in Asia Centrale e in India, il tè è chiamato cha o chai, mentre in Europa Occidentale, ove il prodotto giungeva via mare dai porti della Cina sud-orientale, esso è chiamato tè.
La denominazione tassonomica della pianta del tè è dunque Camellia Sinensis, nome col quale essa è registrata presso l’Index Kewensis e quindi all’International Plant Names Index. Linneo nella prima edizione della sua opera 'Specie Plantarum', datata maggio 1753, l’aveva chiamata Thea Sinensis, abbandonando però tale denominazione nella seconda edizione, nella quale distinse la Thea Viridis a nove petali dalla Thea Bohea a sei petali.
Per molto tempo la doppia nomenclatura di Camelia Thea è stata mantenuta dai botanici indiani e cingalesi fino al 1958 allorquando J. Robert Sealy, pubblicando 'A revision of the Genus Camelia', edita dalla Royal Horticultural Society, stabilì l’attuale denominazione tassonomica, evidenziando che secondo la International Rules Nomenclatura, “in caso di fusione tassonomica di due identiche specie, vada utilizzata la denominazione della specie registrata per prima”.
Esaurite le note di presentazione, veniamo ora ad argomenti più squisitamente merceologici. Il tè, dopo l’acqua, è la bevanda più diffusa sul pianeta Terra; essa consta di un infuso di foglie di Camellia Sinensis, è di sapore leggermente amaro ed astringente ed è opportuno non confonderla con una tisana che invece è fatta di infuso di frutta o di erbe.
Tanto precisato, tuttavia, corre l’obbligo di chiarire che esistono e sono offerti in commercio vari tipi di tè, ma tutti provengono dalle foglioline della più volte nominata Camellia Sinensis; la diversificazione fra le varietà è dovuta unicamente a trattamenti di lavorazione diversi e diversi gradi di ossidazione, comunemente detta 'fermentazione'.
La lavorazione del tè tradizionale infatti, il tè nero, comprende le seguenti fasi:
- la disidratazione da 8 a 18 ore
- l’accartocciamento
- la fermentazione a temperatura ambiente da 45 a 180 minuti
- la torrefazione, fino al 3% di umidità
- la setacciatura finale per eliminare le impurità residue.
Per il tè verde, invece, il processo di lavorazione prevede un rapido riscaldamento a 70 ° C. delle foglie che rende inattiva l’ossidasi, senza causare nè la trasformazione delle catechine né tampoco la variazione di colore. Il processo di lavorazione del tè bianco prevede che le foglie siano sottoposte ad una prolissa fase di appassimento, causa peraltro di un leggero processo di ossidazione, a cui segue la fase finale di essiccazione condotta a bassa temperatura.
L’aggettivazione 'bianco' deriva dal colore di quella fine lanugine bianca, in lingua cinese detta Pakho, che ricopre i giovani germogli e le gemme apicali della Camellia Sinensis, usati per la produzione di questo tipo di tè. Il tè giallo, specialità prodotta solo in alcune regioni cinesi, esattamente al pari del tè verde, viene sottoposto ad un processo termico di stabilizzazione ma, per effetto dell’umidità e del calore residui, viene lasciato ingiallire prima di essere essiccato.
Il tè oolong o wulong, infine, prodotto quasi esclusivamente a Taiwan, essendo sottoposto nel ciclo di lavorazione a fermentazione parziale, presenta delle caratteristiche intermedie fra il tè nero e verde. In assoluto comunque la qualità del tè è strettamente connessa alla maturità delle foglie: tanto più esse sono giovani, tanto migliore risulta la qualità del prodotto; non per niente il tè più pregiato è il Golden Tips ottenuto da germogli.
In un ventaglio molto ampio di varietà si riscontrano dunque i 'tè neri' fermentati, i 'tè verdi' non fermentati, i 'tè oolong' semifermentati, per cui si può sinteticamente dire che i tipi di base dei tè sono:
- il tè nero
- il tè verde, detto anche tè vergine
- il tè oolong o wulong
- il tè bianco, la 'bevanda dell’Immortalità' dalla dinastia Song
- il tè giallo
- il tè pu’er o tè postfermentato
In corso di lavorazione ed in fase seguente all’essiccazione inoltre, il tè può essere ulteriormente trattato nella preparazione dei tè aromatizzati, dei tè pressati, dei tè deteinati. Il 'tè rosso' infine è fatto a base di karkadè o di rooibos del Sudafrica ma non di infuso di foglie Camellia Sinensis, e pertanto riesce difficile inquadrarlo nella categoria merceologica dei tè.
Oggi la produzione mondiale del tè si aggira sui rispettabili 30 milioni di quintali annui, quasi totalmente provenienti dal continente asiatico e vede come paesi protagonisti, in ordine di grandezza di produzione, l’India o la Cina, lo Sri Lanka, il Giappone, il Kenya, l’Indonesia; anche la vecchia Europa è presente, seppur per una piccola o molto piccola parte prodotta alle Isole Azzorre.
In India le coltivazioni, estendondosi dalle rive del Brahmaputra ai versanti dell’Himalaya e fino alle regioni meridionali del Paese, presentano notevoli diversità:
- nel nord-est del subcontinente indiano si producono i tè d’Assam, adatti ad infusioni scure e forti, dal sapore rotondo e speziato, pieno di carattere: i classici tè del mattino;
- sui contrafforti dell’Himalaya si coltivano i Darjeeling, detti 'i signori dei tè' o anche 'gli champagne dei tè': prodotti ad altitudini elevate, essi sono contraddistinti da incomparabile finezza di profumo; in uno dei suoi romanzi ne parla anche Sven Hassel asserendo che “manderebbero in brodo di giuggiole un mandarino cinese”.
La Cina è il paradiso dei giardini del tè, anzi ne esistono più numerosi dei vigneti italiani, con una produzione infinita di vari tipi di tè, molti dei quali risultano sconosciuti alla grande distribuzione internazionale, essendo riservati all’esclusivo consumo locale.
In Giappone le preferenze vanno tutte al tè verde, la bevanda nazionale, mentre i tè scuri sono considerati prodotti di bassa qualità, 'roba da Occidentali!'.
Il Kenya, già noto per la produzione del caffé, dopo la sua indipendenza dagli inglesi conquistata nel 1963, iniziò a produrre anche tè per soddisfare le esigenze del mercato locale e la creazione della Kenya Tea Developpement Autorità (1974) diede notevole impulso all’iniziativa; oggi sugli altopiani si estendono grandi giardini nei quali si produce il rinomato tè nero Marinyn a foglie intere o sminuzzate e a punte dorate.
L’Indonesia racconta una storia a sé stante, fatta di perseveranza e pazienza. Già nel 600 i coloni olandesi cercarono di acclimatare le piantine provenienti dalla Cina, ma con risultati disastrosi; i grossi interessi economici in ballo in Europa spinsero nell’800 lo stesso governo olandese a rinnovare altri tentativi ma i risultati furono pari ai precedenti.
Solo successivamente le terre furono gradatamente cedute ai coloni che, con sapienza e pazienza, mettendo a dimora le piantine provenienti dall’Assam, riuscirono ad avere produzioni di notevole qualità; oggi si ha una produzione quantitativamente importante ma destinata a qualità commerciali, anche se non mancano come fiore all’occhiello varietà di tutto rispetto come il Taloon, il Malabar di Giava, nonché vari tipi di tè neri aromatici e soavi.