Cosa sono le difficoltà di apprendimento?
Con il termine “Difficoltà di apprendimento” si indicano problematiche che si esprimono anche in ambito scolastico, riferibili all’apprendimento, non specifiche e riconducibili a varie e possibili dimensioni cliniche, sociali, culturali ed emotive. Sono un esempio di difficoltà di apprendimento quelle derivate da:
- il ritardo mentale (caratterizzato da un quoziente intellettivo inferiore alla media);
- i disturbi del comportamento legati a disagi emotivo-relazionali;
- i deficit sensoriali (ipoacusia o sordità, deficit visivo);
- la bassa motivazione intrinseca all’apprendimento formale;
- la differenza culturale e il bilinguismo;
- l’inadeguatezza dell’ambiente di apprendimento;
- la deprivazione e la povertà culturale.
Cosa sono i disturbi specifici dell’apprendimento?
Con il termine “Disturbo specifico di apprendimento” viene invece sottolineato uno specifico dominio all’interno del quale l’abilità di scrittura, lettura o calcolo presenta un quadro di performance al di sotto della media attesa (in modo significativo ma circoscritto) per scolarità e quoziente di intelligenza. I bambini con un deficit specifico di apprendimento presentano infatti un quoziente intellettivo nella norma ma delle abilità ridotte in alcune aree molto specifiche.
In particolare per quanto concerne la lettura, si parla di dislessia evolutiva quando sono presenti delle difficoltà nella decodifica del testo scritto, che si esprimono in:
- una elevata quantità di errori significativi
- una bassa velocità di lettura.
Questo, soprattutto quando il bambino si trova nelle prime fasi di apprendimento della lettura, può associarsi ad una conseguente difficoltà di comprensione del testo, per l’elevata quantità di errori commessi nella decodifica di singole parole.
Quali sono gli indicatori predittivi del problema?
Esistono fattori predittivi, non in senso matematico, ma in senso probabilistico o correlazionale, che rappresentano degli indicatori di rischio per lo sviluppo di un successivo quadro clinico di disturbo di apprendimento specifico e in particolare di dislessia evolutiva.
Nel periodo della scuola dell’infanzia, ad esempio, possono essere dei segnali:
- il parlare tardi rispetto ai propri coetanei;
- la lentezza nell’incremento del proprio vocabolario linguistico;
- la presenza di un disturbo specifico del linguaggio;
- le difficoltà nell’apprendimento di canzoncine e filastrocche;
- difficoltà a cogliere la somiglianza di parole differenti con suoni simili (le rime).
Nella scuola primaria le difficoltà diventano maggiormente circoscritte agli ambiti disciplinari che insistono sulla dimensione lessicale scritta:
- difficoltà ed estrema lentezza nell’acquisire la fusione grafema fonema;
- frequenti e sbagliate anticipazioni nella lettura delle parole;
- capacità di lettura inferiore ai coetanei;
- difficoltà ad individuare somiglianze e differenze tra lettere e parole simili;
- difficoltà ad apprendere una lingua straniera, a maggior ragione quando c’è un disallineamento tra struttura fonetica e lessicale, come nella lingua inglese.
Perché è importante individuare precocemente la dislessia?
È importante che le difficoltà di apprendimento, specifiche e aspecifiche, vengano individuate presto, per evitare il rischio che continue esperienze di insuccesso minino l’atteggiamento di stima del bambino verso di sé. Ripetuti insuccessi, a maggior ragione quando accompagnati da un’incomprensione da parte del contesto scolastico o a maggior ragione da un’attribuzione di causa errata, accentuano ulteriormente il senso di inadeguatezza appresa, la quale può assumere le connotazioni di una vera e propria impotenza appresa, ovvero quando il bambino attribuisce a sé una caratterizzazione di incapacità stabile ed irreversibile.
La dislessia evolutiva, tanto come gli altri disturbi specifici dell’apprendimento, si caratterizza per la non modificabilità del deficit, anche se interventi adeguati e l’aumento graduale del lessico implicito possono migliorare la funzione e l’adattamento alle richieste dell’ambiente. In sostanza l’esercizio ripetuto non migliora la funzione deficitaria, ma piuttosto è necessario un approccio che circoscriva il deficit, sia attraverso strumenti compensativi esterni, sia attraverso il potenziamento di abilità “stampella”, sia attraverso concessioni dispensative. Infatti, tra gli aspetti che possono ridurre l’impatto del disturbo, alcuni sono legati alla precocità della diagnosi, in quanto ciò non solo può permettere di attivare dei percorsi riabilitativi di potenziamento di abilità “stampella”, ma evita di fare delle attribuzioni causali errate sulla difficoltà ad apprendere del bambino o del suo scarso investimento motivazionale nel contesto dell’apprendimento scolastico.
Altri fattori protettivi esterni sono riconducibili alla qualità delle relazioni familiari e del clima emotivo caratterizzante, in quanto un alto funzionamento emotivo abbassa la percezione di gravità e la sensazione di potervi far fronte. Bisogna ovviamente aggiungere la qualità del contesto educativo scolastico, sia da un punto di vista della flessibilità di adattamento alle richieste del singolo, sia in termini di ergonomicità degli spazi e degli strumenti disponibili a supporto della didattica compensativa.
Dislessia, quali possono essere le complicazioni?
La lettura rappresenta uno strumento, anche se non l’unico e non necessariamente il privilegiato in modo univoco, quanto meno al di fuori del contesto scolastico, attraverso il quale espandere il mondo del senso, acquisendo nuovo linguaggio e nuove conoscenze. La lettura abbassa le differenze interindividuali e il senso individuale del limite, in quanto innalza la capacità di comprensione personale (quanto meno da un punto di vista teorico). Detto ciò è abbastanza intuitivo lo svantaggio che una dislessia non riconosciuta e/o non compensata possa determinare, sia sul presente scolastico del bambino sia sul suo futuro epistemico, relazionale, emotivo, cognitivo.
Limitandosi a rappresentare le conseguenze di un mancato riconoscimento del deficit all’interno dell’ambito scolastico, è possibile ipotizzare conseguenze primarie, legate alla sfera della cognitività e cognizione, ma anche secondarie, legate alla percezione di sé come incapace, inadatto, diverso. Ciò reattivamente può condurre a vissuti depressivi inespressi, piuttosto che espressi anche attraverso comportamenti oppositivo provocatori.
Cosa può fare la famiglia in caso di dislessia?
Oltre ad attivarsi in prima persona al fine di intraprendere l’iter diagnostico certificativo, la famiglia rappresenta una risorsa importante sia nel fare certe cose sia nel non farne altre. Tra le cose da evitare, ci sono gli inutili allarmismi. In particolare restare all’interno di un ciclo di attivazione emotiva di allarme, può inficiare la qualità della relazione inter-educativa con la scuola, per l’eccesso di richieste o pretese e per l’eccesso di valutazione ipercritica verso ciò che si ritiene dovrebbe essere fatto. Gli insegnanti sono aggiornati relativamente al problema, sia da un punto di vista teorico clinico, sia da un punto di vista dell’esperienza diversificata con molti bambini, tutti normalmente differenti gli uni dagli altri.
È vero che ogni bambino dislessico rappresenta una caratterizzazione singolare a sé, ma del resto ogni singola persona rappresenta una caratterizzazione di singolarità non equiparabile agli altri. Quindi vivere il problema nell’ottica relativizzante, rappresenta una necessità utile ad attivare le giuste modalità di confronto scuola – famiglia. Se la scuola può attivare modalità compensative e dispensative, adattandole di volta in volta, la famiglia può fornire un utilissimo feedback retroattivo e rimodulante.
Approfondimenti bibliografici
- Daniel Pennac. Diario di scuola. Edizione universale Feltrinelli.
- Daniel Pennac. Una lezione di ignoranza. Edizione Astoria.
- Stelle sulla terra. Film di Aamir Khan