Qualche settimana fa la regina d’Inghilterra si è vista recapitare una strana richiesta firmata da due studiose americane - la bio-archeologa Catrina Whitley e l’antropologa Kyra Kramer: ambedue le chiedono di poter prelevare qualche campione di capelli e di ossa dai resti di Enrico VIII conservati nella cappella di St. George del Castello di Windsor per sottoporli ad esame del DNA: sospettano infatti seriamente che il re, deceduto esattamente quattrocentosessantaquattro anni fa, fosse affetto da una malattia - la Sindrome di McLeod - forse responsabile di alcuni crudeli atteggiamenti che lo portarono alla decapitazione di due delle sei mogli: Anna Bolena e Catherine Howard.
Che cos'è la Sindrome di McLeod
Come molti sanno, la Sindrome di McLeod, nota anche come “neuroacantocitosi di Mcleod”, è una rara malattia congenita, pressoché esclusiva degli uomini, dovuta ad assenza congenita di un antigene sulla superficie dei globuli rossi e associata ad alterazioni di alcune strutture cerebrali. Presenta un’ampia varietà di sintomi come movimenti involontari degli arti e del tronco, problemi cardiaci, epatici e della milza, comparsa di acantociti nel sangue - cioè di globuli rossi dotati di prolungamenti che conferiscono loro un aspetto spinoso (in greco akantha = aculeo, spina), e psichiatrici (ai quali ultimi guardano le due ricercatrici statunitensi) rappresentati da perdita di introspezione, personalità antisociale, stati depressivi, impulsività sino a compiere atti schizoidi o criminosi. Tutti elementi che collimerebbero con il profondo cambiamento avvenuto con il passare degli anni nei comportamenti di Enrico VIII.
Per avere un quadro ancor vicino alla realtà, vale intanto conoscere qualche dato sulla salute generale del famoso re d’Inghlterra. Quando appena diciottenne ascese al trono, Enrico era un bel ragazzo alto, “paffuto come un Cupido italiano", i lunghi capelli biondi, gli occhi vivaci, la pelle bianchissima, un sorriso quasi infantile. E soprattutto amante della bella vita. Si sa che a ventitre anni ebbe il vaiolo e il morbillo, ma i dispacci ufficiali sulle sue condizioni di salute cominceranno solo dopo i suoi trent’anni (“Il re è tormentato da febbri, parossismi e dolori di testa”, oppure “si è slogato una spalla” (1529) e due anni dopo “è irrequieto e insonne”).
Della “gotta ad un piede” (la cui vera natura è peraltro discussa) si comincia a parlare solo nel novembre del 1532. Nel febbraio del 1535 il re “non può concedere udienze perché affetto da raucedine e cattiva salute”; nel gennaio dell’anno seguente farà a Greenwich una brutta caduta da cavallo, restando per due ore senza dare segni di vita. Dopo di che, cominciano a comparire sulle gambe ulcere dolorose e sanguinanti che l'avrebbero accompagnato tutta la vita trasformandolo in “un farmacista di se stesso” per il gran numero di unguenti (che preparava anche da sé, macinando tra gli altri ingredienti anche perle magiche, secondo l’uso del tempo: la cosiddetta
Non si è mai riusciti a capire la vera causa di quelle ulcere: scartata l’ipotesi della sifilide, si pensa ad uno scòrbuto (molto frequente a quel tempo) o ad una malattia del metabolismo detta “porfiria”. È altresì da notare che Enrico VIII andava di frequente soggetto anche ad altri disturbi come stipsi, idropsia, sonnolenza, amnesia, imprevedibili sbalzi di umore.
Quando sposò la sua sesta moglie (1545) Catarina Parr (la sola che gli sopravvisse) non è più il bel giovane di una volta: appare ormai pesante, tozzo, obeso, e la gente lo paragona a “un oste cui vanno bene gli affari”; passa il tempo a sospirare e a lamentarsi; per camminare deve sorreggersi con il bastone, e negli anni seguenti dovrà spostarsi soltanto in lettiga. Le sue gambe sono “assai mal ridotte”, tant’è che si rende necessario cauterizzare le piaghe con ferri roventi. Tuttavia, al di là dei mali fisici, quel che forse più afflisse Enrico VIII è stata la spasmodica attesa di un erede al trono: quando Anna Bolena partorì una bambina, si precipitò nella stanza della puerpera urlando: “Una femmina! A me! Avrei preferito un figlio cieco, sordo, storpio, imbecille, ma maschio! Mi avete dato una figlia e mi svergognerete!”
La morte sopravvenne il 28 gennaio del 1547, a 56 anni, dopo che il re aveva perduto la parola. Charles Dickens l’avrebbe definito “una macchia di Sangue e di grasso nella storia dell'Inghilterra”. Il solo figlio maschio, Edoardo, avuto dalla terza moglie Jane Seymour, sarebbe morto di vaiolo a 17 anni.
Secondo le due ricercatrici statunitensi, la sindrome di McLeod si sarebbe manifestata quando il sovrano aveva circa trentacinque anni, aggravandosi gradatamente negli ultimi venti anni della sua vita. E commentano: “I ministri sapevano che era matto da legare. Immaginatevi un tipo simile con il potere di vita e di morte”. Ma la loro “rispettosa istanza” alla regina Elisabetta di poter prelevare campioni per l’esame del DNA non sembra per ora aver avuto risposta, nemmeno da qualche laconico portavoce ufficiale. Forse in ossequio al vecchio detto latino Parce sepulto (Risparmia chi sta sotto terra).
Fonte:
C. Brewer: The Death of Kings, Abson Books, Londra, 2004