La relazione tra omocisteina e malattia aterotrombotica è stata ipotizzata in seguito alla constatazione che i pazienti con una rara malattia genetica che comportava elevati livelli di omocisteina (>100 micromoli/lt) andavano frequentemente incontro a malattie cerebrovascolari. In seguito a ciò, diversi studi epidemiologici hanno confermato che anche livelli medio-elevati di omocisteina (da 10 a 100) sono associati ad una aumentata prevalenza di infarto ma ancor più di ictus e di arteriopatia periferica.
Va tuttavia ricordato che comunque i fattori di rischio tradizionali (fumo, diabete, colesterolo, ipertensione, sedentarietà, etc) sono sufficienti a predire oltre il 90% degli eventi cardiovascolari, per cui il valore aggiuntivo dell’omocistina come marker di rischio non è elevato. Nessuna linea guida consiglia il dosaggio routinario dell’omocisteina, ma nella pratica si ricorre a questa determinazione in presenza di una cardiopatia ischemica precoce non altrimenti spiegata. In questo caso, elevati dosaggi di omocisteina possono essere contrastati con l’utilizzo di acido folico, ma allo stato attuale nessuno studio clinico ha dimostrato che tale trattamento sia effettivamente in grado di ridurre gli eventuali eventi cardiovascolari successivi.