Cara Signora, il morbo di Parkinson, prima ancora che una malattia, è una condizione di vita.
Le terapie possono essere più o meno adeguate, ma spesso devono essere cambiate perchè sopraggiungono sempre fatti nuovi, ad esempio, il sopraggiungere di resistenza all'effetto, oppure lo svilupparsi di risposte "paradosse" agli stessi farmaci prima tollerati. Inoltre il parkinsoniano sviluppa un proprio stile di vita, un proprio ritmo quotidiano, una vera e propria "mentalità". In ultimo, la postura del parkinson, legata in buona parte al sovvertimento del tono muscolare, porta facilmente all'insorgenza di dolori artro-mio-fasciali cronici.
Per tutte queste ragioni, il terapeuta del malato di Parkinson deve essere lì accanto, essere in grado di far fronte a tutte le possibili complicazioni ed alle incombenze derivanti dalla malattia e quindi, essere il "suo" terapeuta. Questa non è una malattia che si può curare solo davanti al banco del farmacista.
Saluti