Gentilissima. La frase chiave, sintesi e potenziale punto di partenza per la soluzione del suo problema è “la colpa è mia perché non mi sono curata adeguatamente”. Provo a interpretare quello che si può leggere tra le righe del suo sfogo. Lei potrebbe soffrire di disturbo somatoforme (ovviamente la diagnosi richiederebbe altre informazioni che solo una visita può dare). Il disturbo si caratterizza per la presenza di sintomi apparentemente somatici, ma in realtà di origine psichica. Di solito si accompagna ad ansia, umore depresso, insonnia. Nel suo caso anche a solitudine psicologica, dovuta al timore di apparire “pazza”. Probabilmente questo stesso timore ha contribuito a impedirle di curarsi, magari nell’idea che la presenza di una cura, più che un aiuto, rappresenti una certificazione della “pazzia”. Oltre al fatto che comunemente chi soffre di disturbi somatoformi ha un infondato timore delle malattie, e quando si manifestano sintomi somatici durante la terapia farmacologica, molto spesso tende ad attribuirli ai farmaci, soprattutto in quella fase di latenza, che generalmente è tre-sei settimane, durante i quali la terapia farmacologica non ha ancora manifestato la sua efficacia. Le evidenze razionali, come la consapevolezza che gli stessi disturbi sono presenti anche senza farmaci, non bastano ad allontanare la paura del farmaco.
Per questa ragione è costretta ad aggiungere, ai sintomi che il suo disturbo le porta, la necessità di preparare accuratamente gli incontri con chi non conosce il suo problema eppure è importante nella sua vita. Qualunque svago perde la sua caratteristica per diventare un crogiuolo di misure di difesa, una continua sensazione di recitare e imbrogliare, o semplicemente una lunga e sofferta attesa del ritorno nella propria camera, dove vivere isolatamente ma finalmente liberamente la propria sofferenza, senza interesse per “cosa mangia e cosa fa, se c’è il sole….”
L’isolamento amplifica il problema, alimenta a dismisura la sua rilevanza, distorce il significato.
E quindi i consigli. Lei dovrebbe rivolgersi a un bravo psicoterapeuta, anche se magari l’ha già fatto con insuccesso, finalizzando gli incontri a una percezione diversa e più umana dei suoi disturbi, a una maggiore apertura (anche se in questo momento le sembra impossibile), ma soprattutto a una migliore accettazione di una terapia farmacologica, probabilmente necessaria e spesso risolutiva nel suo caso. Le posso assicurare che, nella mia lunga esperienza, chi, con problemi analoghi ai suoi, riesce ad aprirsi, spesso percepisce se stesso in maniera diversa e più positiva e scopre molte fragilità negli altri. Saluti