La Medicina Narrativa è una nuova disciplina che sta prendendo sempre più piede anche in Italia. paginemediche.it intervista il Dott. Mario Clerico, Direttore del Polo Oncologico di Biella.
Si invita sempre la Medicina a tenere al centro il malato e non la malattia: la narrazione e l'ascolto del paziente aiutano ad avvicinarsi di più al raggiungimento di questo obiettivo?
Certamente, ma per comprendere questo concetto è necessaria una premessa. La medicina degli ultimi anni è cambiata profondamente: grazie ai progressi tecnici e all'invecchiamento della popolazione sono diventate prevalenti le patologie croniche, che richiedono impegno e modalità organizzative completamente diverse. Ad esempio, per curare un'Appendicite acuta o una Polmonite sono abbastanza chiare le scelte da compiere. Non è così, invece, nei confronti delle malattie croniche (tra le quali la maggior parte dei tumori), dove i trattamenti, lunghi e complessi, comportano profondi cambiamenti di vita e impongono la condivisione degli obiettivi e delle strategie.
I medici si sono dunque trovati nella necessità di conoscere meglio le storie dei loro pazienti, per decidere insieme i programmi di cura. In pratica, hanno imparato ad ascoltare di più, passando da una medicina paternalistica, dove il medico sapeva cosa era meglio per la salute del paziente, ad una medicina partecipata e condivisa.
Per ottenere i massimi risultati è importante costruire una rete cooperante fra operatori: infermieri, psicoterapeuti, farmacisti e medici. Qual è la sua esperienza in merito?
Il passaggio da una sanità per malati acuti ad una per malati cronici, come detto prima, comporta la necessità di costruire reti capaci di affrontare e prevenire i bisogni di salute. La nostra generazione ha dovuto rivedere il modello sanitario precedentemente organizzato per dare risposte a richieste singole, mai coordinate fra di loro, documentate su cartelle cliniche separate fra i diversi servizi e i diversi operatori.
Grazie soprattutto all'avvento delle tecnologie informatiche, abbiamo ragionato su una cartella centrata sul paziente, dove gli operatori condividono le informazioni (rispettando i diversi livelli di privacy) per garantire la continuità assistenziale, sia in ospedale sia sul territorio. In questa cartella vengono raccolte anche informazioni non strettamente sanitarie, ma ugualmente necessarie per programmare l'assistenza.
Per esempio, viene descritto il contesto familiare, quali persone possono avere accesso ai dati sensibili o condividere le strategie assistenziali, quali sono le richieste di approfondimento sulla malattia e sui trattamenti. Abbiamo poi organizzato incontri settimanali fra servizi diversi, per gestire al meglio i passaggi di cura fra una struttura e l'altra e condividere le strategie. Ogni discussione è documentata nella cartella informatizzata.
Ci può fare un esempio di caso clinico in cui la narrazione del paziente e l'ascolto del medico hanno contribuito alla guarigione o al miglioramento della condizione del paziente?
Gli esempi sono numerosi nel campo dell'oncologia. Ricordo un paziente affetto da un Tumore del cavo orale che dava grande importanza alla sua vita di relazione, per cui decise di non sottoporsi ad un intervento chirurgico che avrebbe potuto cambiare il suo volto e la sua parola. Insieme abbiamo dovuto stabilire quali possibilità terapeutiche erano migliori per lui.
Ogni giorno discutiamo sui confini tra "accanimento terapeutico" e "rinuncia", spesso vissuta come possibile "abbandono". Ogni persona ha diversa determinazione, coraggio, paura, equilibrio?
Le scelte, difficili, non saranno mai giuste se non saranno condivise con l'interessato. La malattia tumorale è un'esperienza profonda, che coinvolge il paziente e la sua famiglia. Ho visto malati che hanno riscoperto dopo tanto tempo i rapporti con i figli o con i genitori. Ho visto pazienti che avevano tentato il suicidio prima della diagnosi di tumore, ma che poi hanno affrontato con straordinario coraggio la malattia e le cure, diventando esempio per molti.
In conclusione, oggi cerchiamo di parlare di qualità di vita, oltre che di quantità. Come disse Rita Levi Montalcini, "meglio aggiungere vita ai giorni che non giorni alla vita". Ma chi decide quale vita, se non il diretto interessato? E allora, che l'interessato racconti, a noi il compito di ascoltarlo e supportarlo nelle scelte.