All'indomani degli attacchi di Parigi, il mondo civile è ancora più spaventato dal terrorismo dell'Isis. Probabilmente la massiccia diffusione di filmati, immagini e dichiarazioni terroristiche degli ultimi mesi, contribuisce a diffondere la "psicosi" del terrorismo. Dottoressa D'Arcangeli, quali sono le ripercussioni psicologiche di questo stato di allerta e di terrore?
Viviamo in una modernità pervasa dalla paura. Per usare le parole del noto e bravissimo sociologo Bauman:“La paura è con ogni probabilità il demone più sinistro tra quelli che si annidano nelle società aperte del nostro tempo.” (“Il demone della paura”).
Siamo immersi in condizioni di vita dove la paura è diventata sinonimo di incertezza, fragilità, insicurezza. Per un motivo o per l’altro siamo costretti a inseguire, una dopo l’altra, emergenze sempre diverse, sempre nuove che aumentano il nostro senso d’Impotenza e minano perfino il nostro senso d’identità. Va da sè che tutto ciò produce malessere a molti livelli.
Il rischio, in casi come questi, è di cadere vittime dei pensieri ossessivi. Il pensiero che qualcosa di brutto possa presentarsi, violento e inaspettato, fa vivere in uno stato di angoscia, smarrimento e di condizionamento psicologico che a volte scavalca le capacità di ragionamento. Che cosa può fare, ciascuno di noi, per reagire alla paura?
C’è da fare una precisazione: io credo che tutti noi abbiamo provato uno stato di profonda commozione e compassione per l’accaduto. Ciò contiene in sè il germe della reazione.
È l’esperienza che ci dice ciò: in occasione di disastri naturali come terremoti, innondazioni, abbiamo assistito a delle reazioni che appartengono alla natura umana come la generosità, l’eroismo, il coraggio, la fratellanza.
Virtù, più che reazioni, note alla psicologia positiva per la loro capacità di promuovere benessere personale e sociale.
A tal proposito vorrei citare quanto scritto direttamente da Isobel Bowdery, scampata a uno degli attentati di Parigi, sulla sua pagina facebook. Sebbene profondamente provata emotivamente per quanto vissuto la ragazza scrive: “La scorsa notte, la vita di molti è cambiata per sempre, sta a noi di essere persone migliori”.
In questo clima di violenza anche i bambini e i ragazzi sono spesso spettatori della spettacolarizzazione del terrore. Dottoressa D'Arcangeli, si può, e si deve, educare i bambini a "non avere paura della paura"?
La paura è un’emozione importante e ha una funzione positiva.
Infatti, come il Dolore fisico, nelle persone ha il ruolo di segnalare uno stato di emergenza ed allarme, quindi di preparare la mente e il corpo alla reazione vitale che si manifesta come comportamento di attacco o di fuga.
Inoltre, l’espressione della paura svolge la funzione di avvertire gli altri membri del gruppo circa la presenza di un pericolo e quindi di richiedere un aiuto e soccorso.
Quindi non è la paura il problema in sè per sè ma le sue aberrazioni come l’ansia, la fobia, il panico e in fine il terrore.
Nel caso si rimanga nell’ambito della paura io consiglio alle figure di riferimento quali la famiglia, gli insegnanti, gli educatori, di promuovere quelle competenze e abilità della vita come il pensiero critico, la comunicazione efficace, la capacità di gestire le emozioni.
Promuovere tali competenze significa infatti essere in grado di mettere in condizione i bambini e i ragazzi di rispondere alle sfide e alle opportunità della vita, quindi il loro ben-essere, così come ampiamente dimostrato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Per concludere, è forse questo il momento giusto per promuovere una psicologia della resilienza. Che cosa si può fare in concreto?
Il momento per promuovere la resilienza è sempre quello giusto. La resilienza, come ebbi modo di dire già in un mio precedente articolo per Paginemediche è una risorsa incredibile alla quale le singole persone, gruppi, intere città o nazioni possono ricorrere per affrontare le avversità della vita e superarle.
Credo che sarebbe utile se tutti i professionisti della salute, approfittassero di ogni occasione professionale che si offre loro (nei propri studi, durante la formazione, nelle scuole, negli ospedali) per parlare di resilienza. Un concetto tanto importante quanto non ancora forse di dominio pubblico.
Inoltre, per usare le parole dello studioso Andrew Zolli: “Se non siamo in grado di controllare le maree del cambiamento, possiamo però imparare a costruire imbarcazioni migliori; a progettare e ridisegnare organizzazioni, istituzioni e sistemi capaci di assorbire meglio gli sconvolgimenti, di operare sotto una più ampia varietà di condizioni e di passare con maggiore fluidità da una situazione all’altra”.
Credo quindi che a molti dei livelli si possa a re-agire con la resilienza.
Intervista di Roberta Collina
Ultimo aggiornamento: 04 Dicembre 2015
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