Il concetto di ictus è intimamente connesso al significato etimologico della parola: in latino si traduce in 'colpo'. L'idea è quella di un dardo che colpisce all'improvviso e fa stramazzare la vittima al suolo.
Oggi i neurologi 'alla moda' usano molto il termine inglese 'stroke': è una questione di gusti. Tanto è forte la suggestione del nome quanto è in realtà scarsamente indicativo della sua reale natura. Di fronte allo spettacolo di un uomo che improvvisamente cade, oppure perde la parola, oppure diventa cieco da un occhio, il clinico deve pensare a diversi fenomeni: se il fatto è transitorio (e in tal caso quanto dura), se viceversa il deficit tende a persistere, addirittura a peggiorare coinvolgendo altre funzioni, se viene compromesso lo stato di coscienza oppure se la perdita del contatto col paziente si riconduce alla disfunzione di singole capacità cognitive (la parola, i gesti, il riconoscimento dell'ambiente e delle persone).
Rapidamente, la mente deve correre tra le ipotesi di un'epilessia, un'emicrania, un attacco ischemico transitorio o, finalmente, un ictus. Non capita quasi mai che il medico assista sin dall'inizio all'evento improvviso: in genere sono tutte circostanze che deve chiedere a testimoni. L'ictus, nel suo significato pieno, implica il fatto che si è determinato un danno in una zona più o meno estesa nel cervello; lo si deduce dalla persistenza e, spesso, dall'aggravamento dei segni nelle 24-48 ore successive, ma ancora nessuno sa cosa è successo nel cervello del paziente. Potrebbe essere stata un'emorragia, oppure un infarto, oppure un miscuglio tra i due eventi (il cosiddetto ictus emorragico o infarto rosso).
Questo è già un primo pezzo di un' indagine che il neurologo deve affidare agli strumenti: la TC cerebrale. Oggi, nelle principali città italiane, tutti i presidi di pronto soccorso dovrebbero essere dotati di apparecchio TC: non poter distinguere tra emorragia ed infarto entro le primissime ore dall'evento vuol dire rimanere impotenti rispetto ad un dramma potenzialmente curabile.
Già tra i due fenomeni si apre una differenza sostanziale: un'emorragia indica una rottura di un vaso (arteria o vena), oppure la presenza di un tumore (la cui rete vascolare facilmente si rompe), un infarto porta ad ipotizzare la formazione di un trombo, partito dal cuore o dalle grandi arterie connesse dall'aorta al cervello, oppure all'infiammazione della parete di un'arteria cerebrale, oppure al venir meno del flusso ematico per una cattiva distribuzione tra richieste energetiche tra vari distretti dell'encefalo e grado di apertura dei vasi.
In altre parole, dall'ictus in poi il medico deve cominciare a fare la diagnosi vera: cosa è successo in questo paziente? Solo a questo punto si aprono le porte per il secondo quesito: perché è successo?
C'è una serie, tanto numerosa quanto composta di situazioni rare, di patologie geneticamente determinate e/o congenite, che comportano la produzione di eventi ischemici del sistema nervoso centrale in soggetti giovani, o addirittura infanti. A queste condizioni inusuali si possono associare altre patologie, in realtà più frequenti di quanto non si creda, caratterizzate dalla tendenza a manifestare delle infiammazioni focali della parete arteriosa, le cosiddette vasculiti, che predominano nella popolazione femminile in età giovanile.
Queste malattie sono in genere espressione di uno stato infiammatorio che tende a colpire più apparati (malattie multisistemiche) e se ne riconosce una patogenesi 'autoimmune', ovvero legata all'attivazione anomala del sistema infiammatorio, in genere durante fasi di accensione ('pousses') seguite da periodi più o meno lunghi di remisisone.
Un fatto molto interessante sta nel legame che questi fenomeni assumono a livello cerebrale con altre patologie, quali l'emicrania e l'epilessia, per cui sembra quasi ci sia una sorta di 'filum' che mantiene connesse queste condizioni, soprattutto nella categoria di popolazione suddescritta, cioè nelle giovani donne. Ma la stragrande maggioranza delle malattie cardiocircolatorie che sostengono i fenomeni improvvisi, infarto o emorragia, sono le patologie degenerative croniche: gli eventi improvvisi possono essere considerati come vasi che traboccano per la fatidica goccia in più.
Il costante e protratto logorio dell'organismo legato ad alimentazione scorretta, al fumo di sigaretta ed alle abitudini sedentarie è la condizione che, secondo tutti gli studi moderni, aggrava il rischio di ictus al di là della presenza di altre malattie che da sole potrebbero essere responsabili dell'evento. Se a queste associamo il principale disordine del metabolismo della popolazione occidentale odierna, cioè il diabete (quello di II tipo, cioè la forma dell'adulto, detta impropriamente 'diabete alimentare'), l'impatto patogenetico complessivo porta comprensibilmente alle cifre epidemiologiche ben tristemente note: l'ictus è la seconda malattia mortale, dopo l'infarto del miocardio e prima del cancro, del nostro tempo. Ne deriva che ictus e infarto del miocardio sono gli eventi maggiormente attesi in una popolazione ultraquarantenne stressata, viziosa e urbanizzata.
Qui entra il problema sul perchè un ictus in un giovane o addirittura in un bambino è da considerarsi un fatto inusuale e soprattutto perchè un incremento della frequenza di ictus in queste categorie di pazienti susciti allarme socio-sanitario. Noi non viviamo negli Stati Uniti. Non mi è ancora capitato di assistere a casi di ictus sicuramente e unicamente riconducibili ad una malattia vascolare 'ambientale' (cioè legata ai fattori di rischio socio-alimentari come fumo, obesità, dislipidemia da alimentazione scorretta) in pazienti di 20-30 anni d'età o addirittura più giovani.
È possibile che, come per tanti altri fenomeni sociologici, l'America sia il centro di diffusione da cui provengono le 'piaghe' dell'Occidente, specie qui in Europa. Però è anche vero che da noi, tutto sommato, gli 'slow food' hanno saputo tenere testa ai 'fast-food' e che sembra soprattutto l'Italia abbia il primato europeo della produzione di cibi bio-organici e della distribuzione 'a chilometro 0'.
Almeno su questo mi riservo un cauto ottimismo: le tradizioni della nonna da noi sono dure a morire.