Sono circa trecentomila gli italiani che convivono con l’artrite reumatoide, una delle maggiori cause – nel mondo occidentale - di disabilità. È una malattia progressiva e invalidante in cui il sistema immunitario scatena – sbagliando - l’attacco contro sé stesso, coinvolgendo la membrana sinoviale delle articolazioni diartrodiali e distruggendo man mano le componenti cartilaginee e ossee delle stesse.
Il primo Rapporto Sociale sull’Artrite Reumatoide firmato dal Censis e voluto dalla Società Italiana di Reumatologia e dall’Associazione Nazionale dei Malati Reumatici ha offerto una preoccupante fotografia sulle condizioni di assistenza offerte e sulla conoscenza che gli italiani hanno della malattia.
L’82% degli intervistati ha infatti dichiarato di non frequentare i centri specializzati per la cura della patologia per cause e ragioni differenti: il 31% per la lontananza del centro dalla propria abitazione, il 17% per l’assenza di centri nella propria zona e il 14% per la mancata conoscenza e/o per tempi di attesa troppo lunghi.
I dati che si ricavano dalle interviste alla maggioranza dei malati evidenzia la necessità di potenziare i centri di reumatologia, per creare una vera e propria rete Capillare e ben distribuita sul territorio nazionale, accompagnata da maggiori informazioni da parte dei media, sia sulla malattia ma anche sulle strutture e sulle possibilità relative a sgravi fiscali e visite ambulatoriali.
Un ulteriore dato allarmante è quello relativo ai tempi di attesa per avere una buona diagnosi: spesso si può attendere anche due anni. Questo perché spesso ci si rivolge prima a un medico non specializzato, allungando notevolmente i tempi di Diagnosi. L’attesa media è comunque, secondo il rapporto, di ‘soli’ 11 mesi. Ed in molti casi la malattia viene, almeno in prima battuta, confusa con altre patologie meno gravi o come sintomo di invecchiamento.
Questo però non avviene in tutta la penisola: come spesso accade, infatti, la situazione è differente al Nord, al Centro e al Sud. Il Nord-Ovest ricorre in generale al medico di famiglia (43%), il Centro corre immediatamente dal reumatologo pubblico (42%) e al Sud ci si affida invece al medico specializzato privato (33%). Questo avviene per svariati fattori: influisce la scarsa conoscenza di centri specializzati ma, in alcuni casi, è la totale assenza di strutture adeguate che costringe i malati ad affidarsi a cliniche private.
Per il futuro, venuti a conoscenza dei non rassicuranti dati del rapporto, la speranza di Antonella Celano, presidente Anmar, è “sensibilizzare l’opinione pubblica e chiedere un’informazione di base sull’argomento. Questa è una malattia subdola che ha un andamento a sinusoide: oggi hai Dolore, domani non lo hai più, dopodomani ritorna”.