Dalla Danimarca – dove il numero delle Diagnosi legate all’
Lo spettro dei sintomi si è molto ampliato, al punto tale che oggi si parla di 'disturbi dello spettro autistico' ed inoltre – almeno in Danimarca – fino al 1995 si è tenuto conto solo delle diagnosi da ricovero ospedaliero. In ogni caso i ricercatori hanno lavorato sui dati di quasi 700mila bambini nati tra il 1980 e il 1991 e seguiti dalla nascita fino a quando è stato diagnosticato loro l'autismo, o fino a quando sono morti o emigrati, o fino alla fine del 2011.
A quasi 4mila di questi bambini sono stati diagnosticati disturbi dello spettro autistico e quasi tutte le diagnosi risalgono a dopo il 1995, cioè quando sono intervenuti i maggiori cambiamenti nei criteri diagnostici. Nel frattempo anche negli Stati Uniti si segnala un aumento dei casi della malattia, con un bambino su 68 che accusa disturbi dello spettro autistico e con una crescita in aumento negli ultimi 30 anni.
Sicuramente anche in America – come in Danimarca – è cambiato l’approccio al riconoscimento dell’autismo ma gli scienziati continuano ad interrogarsi su ciò che provoca la malattia. Secondo il National Institute of Neurological Disorder and Stroke, si tratta di una combinazione di genetica e fattori ambientali.
Del resto di un mix di fattori genetici, ormonali e ambientali – come causa dello sviluppo di comportamenti autistici – parla anche uno studio tutto italiano dell'Ircss Fondazione Santa Lucia e del Campus Bio-Medico, in collaborazione con l'Istituto Superiore di Sanità e l'Università di Pisa.
La ricerca, pubblicata on line su Neurotoxicology, conferma la validità dell'ipotesi patogenetica multifattoriale e propone un modello che tenga conto di queste componenti per rilevare il rischio autismo. Gli studiosi sottolineano l’importanza della componente genetica, ma indicano che anche le variazioni ormonali durante lo sviluppo e possibili sostanze tossicche ambientali pesano nello sviluppo della malattia. E da questi elementi sono partiti per dimostrare le interazioni a livello cellulare e comportamentale del fattore genetico, sessuale e ambientale nello sviluppo dell’autismo.
In particolare hanno eseguito degli esperimenti analizzando gli effetti degli ormoni sessuali, dell’alterazione genetica della sintesi di Relina (proteina fondamentale nell'embriogenesi) e dell’esposizione a mercurio nel periodo prenatale e perinatale, sullo sviluppo di comportamenti autistici. Ebbene è emerso che ognuno dei fattori preso singolarmente non era in grado di sviluppare comportamenti autistici, ma l'interazione fra loro portava alla comparsa di diversi indicatori del disordine autistico, sia a livello cellulare che comportamentale.
I ricercatori quindi hanno dimostrato che comportamenti autistici possono derivare dalla coesistenza di condizioni ormonali, genetiche e ambientali che prese singolarmente non hanno rilevanza. Si sono così gettate le basi sperimentali per studiare a livello cellulare e comportamentale la triade ambiente/genetica/ormoni, considerata finora l'IPOTESI più accreditata sulla patogenesi dell'autismo.
Nel frattempo due articoli pubblicati su Nature presentano oltre 100 nuovi geni che sembrerebbero contribuire all’insorgenza dell’autismo. Un gruppo di scienziati della Icahn School of Medicine di Mount Sinai ha sequenziato il DNA di quasi 4mila pazienti autistici e di oltre 9mila persone sane, utilizzando una tecnica definita Exome Sequencing, o sequenziamento dell’esoma, un metodo che consente l’analisi selettiva delle regioni del DNA che codificano una parte del codice genetico in cui si ritiene siano concentrate le mutazioni che causano circa l’85% delle malattie. In questo modo sono riusciti ad identificare oltre 100 geni che influirebbero sul rischio di sviluppare l’autismo. Circa il 5% dei pazienti autistici analizzati presentava infatti mutazioni nuove, cioè non presenti nel DNA dei genitori, e le presentava proprio in queste regioni del genoma.
Sempre a New York un team di ricerca del Cold Spring Harbor Laboratory ha sequenziato l’esoma di 2.500 famiglie con un figlio autistico e uno sano. Confrontando le mutazioni presenti nei DNA dei due fratelli, i ricercatori hanno potuto calcolare in che modo ogni singolo gene contribuisce ad aumentare il rischio di sviluppare la malattia, riuscendo a risalire alle mutazioni coinvolte in circa il 21% delle diagnosi. Molti dei geni emersi in questo studio, inoltre, sembrerebbero coinvolti anche nello sviluppo di altri deficit cognitivi e patologie psichiatriche come la schizofrenia, una scoperta che sembrerebbe indicare che alcuni farmaci e terapie sviluppati per queste malattie potrebbero risultare efficaci anche nel caso dell’autismo.