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Dance with me! Come il ballo migliora le abilità del cervello

Dance with me! Come il ballo migliora le abilità del cervello

Due studi statunitensi, a distanza di anni, giungono alla stessa conclusione: ballare allontana lo spettro delle demenze negli anziani.

Danzare fa bene allo spirito e alla salute, anche in terza età. Lo dimostrano due studi condotti dai ricercatori della Washington University e dell'Albert Einstein College of Medicine di New York che sono giunti alle stesse conclusioni: ballare è un vero toccasana per le persone anziane.

Lungo l’elenco dei benefici del ballo: migliora il controllo muscolare, favorisce l’elasticità delle articolazioni e può addirittura ritardare il manifestarsi di sintomi del morbo di Alzheimer o di Parkinson.

I ricercatori nordamericani sono partiti dall’assunto, dimostrato da precedenti studi, che danzare faccia certamente bene alla salute fisica: rafforza le ossa e i muscoli, aumenta la salute cardiovascolare e polmonare, dona una maggiore elasticità nei movimenti. Ma questa pratica ha un effetto positivo anche sul cervello? I ricercatori hanno risposto all’unisono.

Gli scienziati di Washington hanno arruolato 38 pazienti anziani con il morbo di Parkinson e li hanno divisi in due gruppi: il primo ha fatto 20 lezioni di tango argentino della durata di un’ora, il secondo ha fatto altrettante sedute di stretching ed esercizi mirati.

Al termine del Follow-up, i risultati hanno mostrato che tutti i pazienti manifestavano un miglioramento nella Unified Parkinson's Disease Rating Scale Motor, un punteggio che valuta l’andamento della malattia in relazione al movimento, ma solo gli anziani che si erano cimentati nel tango mostravano anche un netto miglioramento nel punteggio ottenuto al test Berg Scale, quello che valuta lo stato dell’equilibrio statico e dinamico, e al test Timed Up and Go, che analizza la capacità di eseguire movimenti complessi, come girare attorno ad una sedia, sedersi, alzarsi.

Gammon Earhart, autore dello studio, ha spiegato sulle pagine del Journal of Neurologic che il tango aiuta ad allenare alcune abilità psicomotorie, come l’equilibrio dinamico: dover seguire il partner e le brusche alternanze dei movimenti è un ottimo esercizio per mente e corpo!

Alla medesima conclusione giunse, qualche anno fa, anche un gruppo di ricercatori dell’Albert Einstein College of Medicine di New York che prese in esame persone anziane, affette da morbo di Alzheimer, che vennero seguite per ben 21 anni. L’obiettivo dei ricercatori  era di studiare quali esercizi o attività sportive potessero contrastare lo sviluppo della demenza.

Risultato: quasi nessuna delle attività fisiche prese in esame (come andare in bicicletta, nuotare o giocare a golf) sortivano un qualche effetto positivo, tranne il foxtrot. Questo ballo di coppia sembra ridurre del 35% il rischio di Demenza e, se si balla tre volte alla settimana, la riduzione del rischio può arrivare addirittura al 76%.

Anche in questo caso il merito sarebbe del tipo di movimento: passi lenti alternati a passi veloci in un ritmo particolarmente scadenzato. Secondo gli esperti, mantenendo elastico e attivo il cervello si può aumentare o mantenere costante il numero di connessioni tra i neuroni e quindi conservare una certa ricchezza cognitiva, a dispetto dell’età e delle demenze.

Ultimo aggiornamento: 09 Dicembre 2019
3 minuti di lettura
Commento del medico
Dr. Massimo Barrella
Dr. Massimo Barrella
Specialista in Neurologia

Ci sono dei concetti in neurofisiologia che possono essere compresi solo se, quasi indipendentemente dalle cognizioni squisitamente tecnico-scientifiche già acquisite, si è già ricavato dall'osservazione della natura un valido modello interpretativo generale.

Queste due esperienze sperimentali, solo apparentemente frivole nel loro messaggio finale, contengono ed esibiscono un nucleo di conoscenza che attraversa tutto il campo della fisiologia della comunicazione tra i viventi.

La storia della cultura occidentale è pervasa dall'antropocentrismo: l'ansia di assomigliare agli dei (per la paura di non essere immortali) ci ha fatto concepire un uomo dimezzato. Da una parte il corpo, appendice meccanica più o meno asservita agli stimoli della volontà, dall'altra la mente, sfera immateriale capace di spaziare attraverso il tempo e lo spazio ma utilizzatrice di un corpo ingrato, inadeguato e caduco che imbriglia i desideri nel carcere doloroso della materia.

La danza è stata ed è, dall'origine della cultura, uno scampolo di riscatto da quest'amara condizione: la mente pervade il corpo di un fluido misterioso e potente, la musica. La musica diviene il demone che spinge e dilata la materia asservendo le sue leggi, il corpo che danza si libera del giogo della gravità, il corpo si fonde nella mente e l'uomo si sente infine, anche se temporaneamente, liberato.

Ma questa bella ed effimera sensazione, questa droga gratuita ed esente da controlli polizieschi, questa fonte magica di felicità fugace, da dove viene?

Partiamo dagli animali. Mi risulta che ci siano in giro strani personaggi che vorrebbero abolire il contributo dato dal pensiero di Darwin alla storia della scienza moderna. Anche a me piacerebbe che non avessero mai scoperto le proprietà combustibili del petrolio: tutti in bicicletta! Ma se togliamo Darwin, ci piaccia o no, non ci capiamo più niente.

Invece, osservando gli animaletti a noi più vicini, cani gatti e uccellini, notiamo una cosa: non solo non parlano (e da questo deriva buona parte del nostro sentimento di riconoscenza per loro), ma non hanno nemmeno la capacità di usare la maschera facciale per esprimere le loro emozioni.

Mentre noi, e le scimmie a noi vicine, possiamo aggrottare la fronte, arricciare il naso, sorridere, contrarre le labbra per simulare un bacio, essi usano la bocca solo per mangiare ed emettere versi. Utilizzano però, abbondantemente e molto più di noi, il resto del corpo: il movimento della coda, l'inarcamento del dorso, le flessioni del collo (pensate alla posizione 'supplice' dell'uccellino quando gli carezziamo il capo), ma addirittura tutta la loro silouette, vista di profilo, assume le vesti di un vero e proprio vocabolario: avete mai visto un gatto che duella con un rivale? Anche se tatticamente sembrerebbe svantaggioso, essi assumono pose trasverse, si mostrano tutti gonfi di profilo d'un l'altro. È l'equivalente dell'ingiuria usata per colpire il rivale al posto dell'aggressione fisica.

Allora, visto che dell'uso del corpo come comunicazione globale noi abbiamo conservato tutta l'eredità biologica (e in questo facciamo fede a Darwin), possiamo percepire il nesso: in fondo, nell'evoluzione noi abbiamo semplicemente traslocato sulla nostra faccia il repertorio semantico del corpo intero. Sarebbe noioso per un lettore profano di scienze neurologiche citare gli innumerevoli riscontri sperimentali di questo modello interpretativo, ma una cosa va sottolineata: sappiamo che il cervello è una struttura plastica, esso si modella strutturalmente per accentuare funzioni vantaggiose in relazione all'esercizio.

Allora il significato profondo degli esperimenti di cui parliamo diventa più chiaro. La danza non è un semplice esercizio fisico, essa è la rappresentazione in movimento di una capacità comunicativa ancestrale, fondamentale, che riguarda la sfera della sessualità, della guerra, della ricerca del cibo, delle emozioni suscitate dalla natura.

La sua celebrazione consente, seppur transitoriamente, di riconnettere antichi nessi associativi, che non sono verbalmente esprimibili ma sono assai più vigorosamente comunicativi delle parole. Per questo, secondo me, la danza fa sentire liberi: perché ci ricongiunge alla natura. E per questo non mi stupiscono e mi riempiono di soddisfazione i risultati delle ricerche dei colleghi americani.

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