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Frutta nei mercati italiani: troppo ricca di pesticidi?

Frutta nei mercati italiani: troppo ricca di pesticidi?

I risultati dell'indagine Legambiente parlano chiaro: gran parte della frutta che mangiamo è inquinata da pesticidi e fitofarmaci.

Una mela al giorno potrebbe levare il medico di tornose non fosse che la maggior parte dei bei pomi che si trovano sui banchi dei nostri mercati è risultata essere inquinata da pesticidi e fitofarmaci.

È l’inquietante risultato di un’indagine condotta da Legambiente e presentata nei giorni scorsi scatenando, come prevedibile, un vespaio di polemiche.

Nel Rapporto “Pesticidi nel Piatto 2007” (il nome la dice lunga!) – che ha raccolto e analizzato i dati relativi a 10.493 campioni elaborati dai laboratori pubblici provinciali e regionali nel 2006 – si legge che solo il 54% della frutta sembra libera da pesticidi mentre un 1,7% di campioni è risultato decisamente inquinato. Più sana sembra, invece, la verdura: più dell’84% delle verdure esaminate è risultato privo di residui chimici, il 15% ha mostrato 1 o più residui e solo l'1% è del tutto irregolare. Ma i risultati delle analisi chimiche sui campioni di frutta fanno davvero impressione. Le mele sono paradossalmente il frutto più inquinato: solo il 39% del campione analizzato è risultato essere privo di pesticidi, mentre il 30% dei campioni ha mostrato la presenza di almeno un principio attivo e il 3,6% è risultato del tutto irregolare. Un po’ meglio per quel che riguarda l’uva: su 253 campioni analizzati, 80 sono risultati senza nessun inquinante, 53 sono risultati regolari con la presenza di un solo residuo, 117 sono risultati contaminati da più di un prodotto e 3 sono stati quelli irregolari. Non va meglio con i prodotti derivati: circa il 20% dei prodotti come olio o vino risulta essere contaminato da uno o più principi attivi. Come spiegato dal direttore generale di Legambiente Francesco Ferrante nel corso della presentazione del Rapporto, la percentuale di campioni irregolari non è variata di molto rispetto all’anno scorso, quando si è registrato un 1,3%, mentre risulta diminuita la percentuale dei campioni con più di un residuo (-1,7%).

Ferrante ha ribadito che “il costante, anche se lento, miglioramento dei dati, conferma la validità delle battaglie a favore di un’agricoltura di qualità, il più possibile sana, stagionale e legata al territorio, anche se aumentano anche le evidenze scientifiche dei danni all’ambiente e all’Organismo umano causati dall’abuso o uso improprio dei pesticidi”.
L’ultimo esempio in tal senso è rappresentato dall’aumento della moria delle api che si sta registrando e che sta preoccupando gli apicoltori: secondo Legambiente, si tratta di un sintomo dello squilibrio ambientale causato proprio dall’abuso di pesticidi e fitofarmaci e ciò ha spinto la stessa Legambiente e l’Unione Nazionale Associazioni Apicoltori Italiani a scrivere ai Ministri della Salute e dell’Agricoltura per sottolineare il problema e chiedere attenzione in merito.

Ma sembra che l’uso di pesticidi in agricoltura sia anche corresponsabile dell’aumento del numero di casi di endometriosi. Il presidente dell’Associazione Italiana Endometriosi, Pietro Giulio Signorile, ha spiegato che numerosi studi condotti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità hanno dimostrato come inquinamento ambientale da pesticidi e diossina siano concause dell’aumento dell’Incidenza dell’Endometriosi e dell’infertilità.

Ai risultati emersi dal Rapporto di Legambiente hanno fatto eco le dichiarazioni della CIA (la Confederazione Italiana Agricoltori) che ha chiarito come il record a livello comunitario del 98,7% di campioni regolari con residui entro i limiti imposti dalla legge confermano l’attenzione sempre crescente che gli agricoltori italiani prestano alla sicurezza dei prodotti. La CIA, pertanto, ricorda che negli ultimi anni si è sempre più ridotto il numero di pesticidi e fitofarmaci utilizzati e che ogni allarmismo è ingiustificato.

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Ultimo aggiornamento: 05 Giugno 2015
4 minuti di lettura
Commento del medico
Dr. Francesco Guida
Dr. Francesco Guida
Specialista in Ginecologia e ostetricia

Il fattore determinante più importante della fertilità di una coppia è l’età della donna. Infatti in donne di età superiore ai 25 anni il CCR (Cumulative Conception Rate) è del 60% dopo 6 mesi e dell’85% dopo 1 anno; in donne di età superiore ai 35 anni il CCR scende al 60% dopo 1 anno e all’85% dopo 2 anni, per cui il loro potenziale di fertilità si è dimezzato in ragione della sola età.

Tuttavia il PR (Pregnancy Rate) in cicli FIVET è sovrapponibile quando vengano utilizzati ovociti di donatrici giovani tanto per trasferimento omologo, quanto per la donazione a donne di età superiore ai 40 anni, a dimostrazione del fatto che l’età della donna è corre-lata con l’”invecchiamento” degli ovociti.

Il dato certo è che un sempre maggior numero di donne cerca la prima gravidanza dopo i 35 anni e che, anche se la frequenza di infertilità potrebbe essere rimasta stabile nella popolazione, una ricerca più tardiva di gravidanza pone maggiori problemi di concepimento.

Riguardo al fattore maschile, che come noto incide per circa il 50% tra le cause di infertilità e che è riconducibile a diverse condizioni patologiche (genetiche, urologiche, iatrogene, malformative, ecc...), sarebbe opportuno riflettere sul possibile ruolo determinante delle noxae di natura ambientale.

Un cambiamento, infatti, nel corso del tempo dell’esposizione a fattori ambientali che possano favorirne l’insorgenza potrebbe aver avuto un impatto determinante sulla prevalenza del problema. Alcuni dati suggeriscono infatti una diminuzione rispetto al passato della concentrazione media di spermatozoi nel liquido seminale, mentre negli anni è stato possibile osservare un costante aumento dell’inquinamento ambientale ed il parallelo declino della fertilità maschile.
Ciò non deve meravigliare dal momento che le gonadi maschili, ove avviene la spermato-genesi, sono sede elettiva e precoce di alterazioni strutturali e funzionali causate da agenti tossici ambientali.

Non va sottovalutata infatti l’azione xenoestrogenica di sostanze presenti nell’ambiente in grado di alterare gli equilibri ormonali (pesticidi, alchilfenoli e ftalati), nonchè l’azione di sostanze come i metalli pesanti (bromo, cadmio e piombo) in grado di compromettere la funzionalità ipotalamo-ipofisaria, determinando alterazioni nel numero, nella vitalità e nella capacità fertilizzante degli spermatozoi. L’esposizione di feti maschi in utero a estrogeni o sostanze estrogeno-simili (endocrine disruptors) per esposizione alimentare della madre (carni, alimenti o acqua contaminati) potrebbe essere un ulteriore importante fattore nel determinismo dell’infertilità maschile.

Un ruolo di non secondaria importanza nella genesi dell’infertilità maschile è, infine, da attribuire anche al fumo di sigaretta. Esiste infatti una diretta relazione tra numero di sigarette fumate e rischio di dispermia. Studi sugli animali hanno dimostrato che l’esposizione a nicotina e idrocarburi policiclici aromatici determina atrofia testicolare, blocco della spermatogenesi e teratospermia.

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