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Gusto e percezione dei sapori: quanto conta il DNA?

Gusto e percezione dei sapori: quanto conta il DNA?

Secondo alcuni studi i geni rappresentano un fattore predominante nel meccanismo di percezione dei sapori.

Il gusto e la percezione dei sapori sono certamente influenzati dall’ambiente, dal periodo di allattamento e dall’educazione alimentare ricevuta in famiglia sin da bambini, ma esiste anche un’innegabile componente genetica sulla quale spesso la ricerca si è interrogata.

I risultati di tutti questi studi hanno dimostrato che ogni individuo ha una propria, personale percezione dei sapori, e qualcuno azzarda che non esistano due persone che percepiscano i sapori nello stesso modo. La differenza nella percezione individuale del gusto tra le persone risulta particolarmente evidente nel sapore amaro del PTC (feniltiocarbamide) che può variare da persona a persona finanche di mille volte.

Qualche anno fa uno studio pubblicato su Current Biology scoprì che il ruolo dominante dei sapori amari sarebbe ricollegato ai geni dei recettori e ai loro alleli multipli: un’ulteriore dimostrazione di quanto i geni rappresentino un fattore predominante nel meccanismo di percezione dei sapori.

E per indagare su quanto l’elemento ereditario sia rilevante, alcuni ricercatori del Burlo Garofolo di Trieste hanno avviato un ampio progetto di ricerca denominato MarcoPolo 2010. Un gruppo di studiosi ha percorso, nell’arco di due mesi estivi, ben 14mila chilometri lungo la Via della Seta per prelevare campioni di DNA e studiare le fondamenta genetiche del gusto, delle preferenze alimentari, dell’olfatto, del gusto, dell’udito e combinare queste informazioni con quelle relative all’ambito geografico e culturale.

Un lavoro di enormi dimensioni che ha portato i ricercatori ad entrare in contatto con 22 comunità, a fare 700 campionamenti e migliaia di test per trarre solo adesso le conclusioni. Cosa si evince dai primi dati? Che, ad esempio, nel Pamir il 37% delle persone non tollera il sapore amaro, contro una percentuale europea che non supera il 7-15%.

Ultimo aggiornamento: 06 Giugno 2015
2 minuti di lettura
Commento del medico
Dr. Alessio Franco
Dr. Alessio Franco
Specialista in Dietistica

Pensare che il gusto sia esclusivamente una componente genetica, mi sembra alquanto riduttivo. Nel mio lavoro capita spesso di conoscere persone con gusti particolari o che non amano determinati sapori.

La maggior parte delle volte le preferenze sono legate più ad abitudini ormai istaurate piuttosto che a vere e proprie percezioni più o meno gradevoli dell’alimento. Sicuramente in alcuni soggetti c’è una maggiore sensibilità a determinati stimoli gustativi che può determinare la nascita di preferenze alimentari.

Di fondamentale importanza sono i primi anni di vita, i gusti percepiti da piccoli ci accompagnano per tutta la vita e se le sensazioni che li accompagnano sono piacevoli, li ricercheremo anche nella vita da adulti. Ne sanno qualcosa le grandi catene di fast food, che legano i propri prodotti a immagini divertenti, giochi e testimonial graditi ai più piccoli, in modo da imprimere in loro un’associazione tra gusto e divertimento.

Proprio per questo motivo bisogna far assaggiare più alimenti possibili ai bambini, in modo che il loro cervello impari a 'conoscere' e da adulti a 'riconoscere' i diversi alimenti e quindi a non escluderli preventivamente. Con questo non voglio dire che la genetica non abbia un ruolo importante nelle nostre scelte alimentari, come invece dimostra lo studio 'MarcoPolo', ma credo che occorra fare attenzione e non utilizzare la genetica come scusa per non arricchirci di un bagaglio alimentare fondamentale per una corretta alimentazione.

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