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Mai senza il telefonino: la nomofobia

Mai senza il telefonino: la nomofobia

La nomofobia è l'ansia di rimanere senza telefono cellulare, un fenomeno legato alla sempre più diffusa dipendenza dalla tecnologia.

Si chiama nomofobia (no mobile phobia) e si traduce con l'ansia di rimanere senza telefono cellulare. Un fenomeno legato alla sempre più diffusa dipendenza dalla tecnologia, in particolare quella wireless, che include tutti i dispositivi senza fili con cui è possibile comunicare, giocare, informarsi in ogni momento e in ogni luogo ove ci sia connettività.

Le persone nomofobiche non spengono mai il proprio cellulare. Di giorno lo tengono sempre con sé, e di notte lo lasciano acceso, sul comodino o sotto il cuscino. Il timore principale sembra quello di perdere i contatti con familiari ed amici, ma anche quello di non riuscire a comunicare con l'ambiente di lavoro. Essere rintracciabili sempre e comunque diventa la priorità che il telefono cellulare può garantire; ma quando lo strumento perde momentaneamente la sua funzionalità, si scatena nell'utente una crisi di Ansia che è stata paragonata ai livelli di Stress provato, ad esempio, durante una seduta dal dentista.

"C'è una tendenza collettiva a considerare il cellulare come un 'oggetto rassicuratore' da un lato, e come una 'estensione della mente' dall'altro", dichiara il prof. Tonino Cantelmi, presidente dell’Istituto di Terapia cognitivo-interpersonale.

Infine è uno strumento estremamente personale, depositario dei segreti delle persone. Queste caratteristiche lo rendono insostituibile nella vita di molti. Perciò per molti uscire senza il cellulare può essere come uscire senza un pezzo di sé. Per alcuni poi la mancanza del cellulare può scatenare disturbi d'ansia e panico.

Il fenomeno è divenuto pervasivo e diffuso, ma forme di autentico panico da assenza di cellulare sono ancora rare. Non ancora panico, ma ansia, soprattutto quando si scarica la batteria o ci si accorge di aver esaurito il credito. Ma quando si può parlare di un'autentica fobia?

"I fobici hanno necessità di sentirsi al sicuro sempre: quando il cellulare svolge questa funzione e diviene una sorta di 'feticcio' rassicurante ecco che la persona è caduta in una forma di prigionia che configura una vera e propria fobia", risponde Cantelmi. Dietro tutto ciò c'è un terribile senso di fragilità personale contro cui il fobico deve combattere una costante e logorante battaglia. Un senso di debolezza che richiede, come cura, un approccio psicologico. Non esiste invece una terapia specifica dal punto di vista psichiatrico.

"La condizione di un soggetto con 'fobia' di rimanere privo del cellulare (o di qualsiasi altro oggetto hi-teck) va ricondotta alla fattispecie dei disturbi ossessivo-compulsivi che possono mostrare vari aspetti clinici e livelli di gravità - dichiara il dott. Maurizio Gomma, responsabile del Dipartimento delle Dipendenze ULSS 20 Regione Veneto. Conseguenza di ciò è che non esiste una terapia, o meglio prima di tutto solo poche di queste condizioni cliniche necessitano di una terapia e la scelta del tipo di trattamento va valutata sulla base delle caratteristiche della persona".

Ed esiste anche la controparte dei nomofobici, ossia coloro che si rifiutano categoricamente di possedere ed utilizzare il cellulare. Come Peter Seabrook, celebre conduttore televisivo inglese.

"La vita sarebbe un affare più piacevole e produttivo se non venisse costantemente interrotta dallo squillo insistente di un cellulare. I cellulari hanno reso la vita più complicata senza reale motivo. Il posto giusto per un cellulare è in automobile, nel caso di un ingorgo stradale o di un incidente. Ma anche in questo caso, che cos’altro si sta facendo se non comunicare a qualcuno che si è bloccati da qualche parte?". 

Ultimo aggiornamento: 30 Giugno 2021
4 minuti di lettura
Commento del medico
Dr.ssa Silvia Garozzo
Dr.ssa Silvia Garozzo
Specialista in Psicologia clinica e Psicologia e Psicoterapia

Leggendo questo breve articolo, il primo pensiero che mi ha attraversato la mente, nonostante la mia professione è stato: “ce l’ho!”. La nomofobia. Chi mi segue sa che questa mania di dare ad ogni singolo sintomo un nome così specifico non trova la mia approvazione.

Si rischia di patologizzare e psichiatrizzare tutto e ciò non aiuta di certo. È indubbio, nella fattispecie però, che il cellulare sia diventato un oggetto che accompagna spessissimo ciascuno di noi, a volte persino al gabinetto. I ragazzi fin da giovani lo portano sempre con sé per mantenere i contatti anche di notte col gruppo dei pari, i manager per lavoro. Le mamme per rassicurarsi dei figli.

È un oggetto a mio avviso utilissimo. Come internet, figlio dei nostri tempi, sviluppatore e coadiuvante della comunicazione, laddove la comunicazione soffre. Come sempre la verità sta nel mezzo e la salute mentale anche mi verrebbe da dire. Per cui utilizzare il cellulare allo scopo di comunicare e per sicurezza ben venga.

Quando questo diventa una dipendenza che anziché facilitare la comunicazione col mondo esterno la impedisce o la blocca allora gli riconosciamo caratteristiche patologiche, che come tali vanno curate. E quali le cure? Quella d’elezione per ogni dipendenza. Una psicoterapia del profondo, che vada ad indagare le cause del meccanismo di dipendenza. Quando c’è una dipendenza in genere c’è una personalità tendenzialmente dipendente. Poi possono variare gli oggetti della dipendenza: dalle relazioni, alle sostanze, al lavoro, al cellulare, ecc.

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