Il 70% dei malati terminali in Italia non gode di adeguate cure anti-dolore; circa 90.000 sono i pazienti che lottano contro la sofferenza e che collocano il nostro Paese tra i peggiori in Europa nella diffusione della cultura della riduzione del dolore.
Morfina, fentanil, tilidina, ossicodone, idromorfone e buprenorfina: con una spesa media annua pro-capite pari a 0,52 euro in oppioidi anti-sofferenza, lo Stivale è ben lontano dalle medie rispettive di 7,25 euro e 7,14 euro della Germania e della Danimarca. I pregiudizi sui derivati dell’oppio, una scarsa informazione e una carente diffusione della cultura della riduzione del Dolore sono alla base della situazione italiana.
A lanciare l’allarme è stato l’italiano Costantino Benedetti, professore di anestesiologia e Terapia del dolore presso la Ohio State University di Columbus, uno dei più apprezzati specialisti in questo settore e allievo di Giovanni Bonica, pioniere della moderna terapia del dolore. “Ogni anno in Italia si consumano ventidue milioni di dosi di oppioidi per ridurre il dolore di 60.000 malati terminali – ha spiegato Benedetti – e, nello stesso lasso di tempo, ne muoiono 150.000. Ciò si traduce in 90.000 pazienti che muoiono soffrendo atroci dolori. Se a questi dati si aggiungessero quelli relativi agli altri tipi di dolore cronico, si raggiungerebbe un numero di malati altissimo, pari quasi al 15% dell’intera popolazione”.
Molti sono, infatti, i pregiudizi sull’utilizzo della morfina nel nostro Paese: un’analisi condotta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità dimostra che, nel 2004, l’utilizzo annuale della morfina pro-capite in Italia era pari a 5,32 milligrammi, contro i 115,7 milligrammi dell’Austria.
L’associazione CittadinanzAttiva/Tribunale dei diritti del malato e la LICD (Lega Italiana Contro il Dolore) da tempo si battono per trovare una risoluzione ai problemi legati allo scarso utilizzo di cure anti-dolore e nel maggio 2006 hanno sottoscritto il cosiddetto Manifesto di Venezia, appello firmato da alcuni dei più importanti rappresentanti del mondo medico-scientifico in questa materia. Il documento presenta quattro obiettivi precisi: il riconoscimento del dolore cronico come malattia sociale; la disponibilità e rimborsabilità di tutte le categorie di farmaci per il trattamento del dolore; la destinazione di fondi per la ricerca nell’ambito delle terapie anti-dolore e per la promozione di adeguati programmi di formazione.
“Sono passati sette anni da quando l’allora ministro della Sanità Umberto Veronesi ha iniziato a rimuovere alcune importanti barriere che potevano impedire ai medici di prescrivere più facilmente gli oppiacei, ma l’Italia resta ultima in Europa nell’uso di questi farmaci, nonostante si collochi terza nella prevalenza del dolore cronico e prima per il dolore cronico severo” ha concluso Benedetti.
Nel frattempo, da Pisa giunge una buona notizia: il team medico guidato da Paolo Poli, direttore dell’Unità di Terapia Antalgica all’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana (AOUP) e dal genetista Paolo Barale dell’ateneo toscano, ha messo a punto un test del Sangue in grado di misurare la soglia del dolore individuale e la risposta di ogni paziente ai farmaci. “Si tratta di un test piuttosto efficace: un semplice esame del sangue permette di identificare la risposta genetica personalizzata alla terapia farmacologia - ha spiegato Poli – ed è frutto di ben tre anni di studi condotti su trecento pazienti”.
Il campione preso in esame dal team dell’istituto pisano comprendeva un 40% di malati oncologici ed un restante 60% di individui con malattie non-oncologiche e colpiti da patologie come mal di schiena o dolori artrosici. Il test, presentato sulle pagine di Clinical Pharmacology and Therapeutics, verifica lo specifico impiego della morfina su questi pazienti e consente di quantizzare la dose trasportata, tramite una proteina, al suo specifico recettore cellulare.