- La maternità è oggi un progetto ben definito che, a differenza di quanto avveniva in passato, è sempre più una scelta di coppia. Può delinearci, a grandi linee, come si è evoluta la figura dell’uomo nel suo essere partecipe, durante la gravidanza e nei primi mesi di vita del bambino, alla costruzione di una “vita a 3”?
Oggi, che ci si sposa da ‘compagni’, in un rapporto paritario in cui ci si sceglie prima come coppia e poi, successivamente, come genitori, l’uomo ha acquisito qualche “talento” in più. Infatti, mentre per la donna acquisire la consapevolezza della competenza materna è un processo per così dire automatico, per il futuro papà si tratta di un passaggio più complesso: emotivo e cognitivo piuttosto che istintivo.
Già durante la gravidanza vi sono delle fasi sia cognitive sia emotive nel senso che il padre può essere partecipe di tutti i passaggi: mentre prima la donna si affidava ad altre donne lasciando il processo al mondo della natura e l’uomo tenuto lontano oggi, con la “medicalizzazione” della gravidanza, si è avuto un maggior rapporto condiviso non soltanto con il padre ma anche con la cosiddetta famiglia allargata.
Il padre, innanzitutto, sta vicino alla sua compagna e partecipa molto più alle visite e ai controlli di quanto facesse tempo addietro: è consapevole dei processi di trasformazione fisica e biologica della propria donna, partecipa alle sedute ecografiche che gli permettono di entrare in contatto, fin da subito, con il bambino. Questo è un passaggio cruciale che ha cambiato molto l’immaginario della gravidanza nel rapporto esclusivo tra madre e bambino.
Per la donna, e per il benessere della coppia, la presenza del compagno è di fondamentale importanza: quando accade che le donne vadano a visita dal ginecologo da sole o in compagnia dalla madre o della suocera, può accadere che nel tempo questo si ripercuota sulla madre e che diventi motivo di stati depressivi post-parto e di problematiche con il compagno.
L’atteggiamento del medico è quello di non forzare i mariti a rimanere in sala parto se non ne sono convinti ma è giusto che capiscano e partecipino alle diverse fasi della gravidanza. Anche il momento post-parto è molto delicato per la coppia: da un lato, la donna, che deve separarsi dal bambino che ha portato in grembo per nove mesi e cominciare a prendersene cura, tende a trascurare il suo essere moglie; dall’altro il marito poco partecipe che non si rende conto delle difficoltà oggettive che la donna prova nel momento in cui deve iniziare l’allattamento.
I primi giorni di vita del bambino sono quindi problematici: alla donna può capitare di concentrarsi troppo sulla cura del piccolo e l’uomo, se non sufficientemente preparato, si sente escluso e in qualche modo abbandonato.
D’altra parte anche la donna, più sola, che deve contare sull’appoggio della madre o della suocera, si trova alle prese con tutte le difficoltà dovute dall’intrusione di queste figure nella coppia: è questo uno dei fattori di rischio di depressione post-parto che portano la donna a chiudersi in se stessa, a voler occuparsi del piccolo ma, al contempo, ad averne paura.
- La depressione post-parto è un evento non infrequente che investe la donna nel momento più delicato di riorganizzazione della vita personale e di coppia, oltre che familiare. Quali sono i campanelli d’allarme che devono mettere in allerta?
I sentimenti tipici della gravidanza - il desiderio di maternità da un lato e dall’altro il senso di colpa nei confronti del proprio capoufficio, la paura di non riuscire a portare avanti la famiglia e di perdere il lavoro – conducono la donna ad una maggiore fragilità che, dopo la gravidanza, si acuisce e che di frequente conducono a stati depressivi.
I campanelli di allarme da tenere in considerazione sono innanzitutto una scarsa cura di sé, poca voglia di uscire e di socializzare, grande stanchezza, paura di essere inadeguata e non preparata, il non riuscire a comprendere i “messaggi” del bambino. Il mio lavoro, IO MAMMA, nasce proprio da questo: dalla conoscenza e dalla comprensione della donna e delle possibili difficoltà nel delicato processo di riorganizzazione della propria vita personale e di coppia.
- Parliamo di contraccezione, un’esigenza della donna dall’inizio della maturità sessuale fino alla menopausa. Dopo una gravidanza quali sono le esigenze della donna rispetto alla scelta del metodo contraccettivo? E quali sono gli aspetti di cui tenere conto nella scelta?
È un tema che mi è particolarmente caro che fa parte della mia ricerca negli ultimi 20 anni: l’Italia è il fanalino di coda nell’utilizzo della contraccezione ormonale. Negli altri Paesi c’è una grande attenzione per la family planning: attenzione a non avere immediatamente altre gravidanze subito dopo aver partorito, soprattutto se coesistono problematiche lavorative.
Oggi, infatti, non è facile avere due bambini in tempi ravvicinati e non si capisce fino in fondo l’importanza della contraccezione per tutelare la donna dalle patologie che possono presentarsi dopo i 35 anni e che possono essere prevenute anche facendo una scelta di contraccezione consapevole. Mentre si parla tanto di contraccezione fra gli adolescenti, c’è invece grande difficoltà nel parlare di contraccezione dopo la maternità perché si dà per scontato che la donna sia già sufficientemente informata: in realtà non è così perché, soprattutto dopo il parto, il metodo contraccettivo usato in precedenza può non essere più adatto per le sue necessità a causa di problemi avuti in gravidanza.
Ci possono essere varie patologie come la patologia della colecisti, frequente in gravidanza, che rende poi intolleranti alla pillola e rende quindi necessario ridiscutere con il ginecologo le nuove vie di somministrazione come l’anello o il cerotto oppure la spirale o il preservativo. Parlare di contraccezione significa, dunque, parlare al paziente di sessualità dopo il parto: è giusto che ci sia, è giusto che avvenga ed è giusto che si consumi nel modo più responsabile e tranquillo possibile senza angosce e senza paure.
La neo mamma si trova a far fronte ad una vita in cui i ritmi e le esigenze sono completamente stravolti. In questa situazione anche doversi ricordare di prendere il contraccettivo può essere fonte di ulteriore stress.
- Oltre alla pillola da assumere quotidianamente, la via transdermica può rappresentare una scelta migliore. Ci può spiegare perché e quali sono i vantaggi?
Quanto più si riesce a semplificare la vita alla neo mamma meglio è: occorre infatti infondere sicurezza. Nel periodo post-parto le nuove linee di contraccezione, come il cerotto o l’anello vaginale e gli impianti sottocutanei, sono l’ideale.
Il cerotto, ad esempio, è un buon metodo contraccettivo: viene messo una volta a settimana e fa sentire a proprio agio la donna. La contraccezione transdermica ha, quindi, una buona efficacia ma va ricordato, però, che il cerotto, come gli altri metodi, può essere utilizzato solo dopo avere terminato l’allattamento, periodo durante il quale, per esempio, si può sopperire con la minipillola.
- Perché parlare di una “donna nuova” dopo il parto?
Dopo il parto la donna è “nuova” perché ha acquisto un talento in più che è quello della consapevolezza di aver dato una vita. Certamente è una donna nuova anche nella forma del suo corpo: la macchina biologica femminile è stata costruita per diventare madri e, quindi, cambia.
Dopo il parto ci troviamo di fronte ad una donna che deve avere molto più senso di responsabilità, una donna che ha un progetto eterno con il suo bambino, un progetto che può essere fonte di grande felicità ma provocare anche grande tristezza.