Il carcinoma della mammella continua a rappresentare una grande sfida per gli oncologi clinici. Grandi progressi sono stati osservati negli ultimi anni ed hanno portato ad un miglioramento della sopravvivenza e ad una riduzione della mortalità. In particolare:
- gli screening assicurano la possibilità di diagnosi e interventi precoci;
- la chirurgia riesce ad essere quasi sempre conservativa;
- l'aggiunta alla chirurgia di Chemioterapia e/o ormoni offre maggiori garanzie di guarigioni;
- la malattia metastatica può essere controllata a lungo con terapie con tossicità contenuta;
- sono alle porte trattamenti fortemente innovativi (basati sulle nuove conoscenze biomolecolari), che potranno essere affiancati alla chemioterapia.
Più specificamente, il trattamento delle metastasi da carcinoma mammario deve oggi tenere conto dei molti e differenti farmaci a disposizione da adottare su base individuale, valutando le caratteristiche della paziente e della neoplasia.
Molto spesso vi è la necessità di far regredire o stabilizzare la malattia neoplastica, così ottenendo una riduzione dei sintomi e un miglioramento della Qualità di Vita.
Le Antracicline rappresentano una delle più importanti classi di farmaci antitumorali: sono attive non solo nel tumore mammario, ma anzi anche nella maggior parte delle neoplasie. Gran parte degli effetti tossici sono ormai controllabili con specifici farmaci di supporto (anti-emetici, fattori di crescita per globuli bianchi e globuli rossi, etc.), ma l'alopecia e la cardiotossicità continuano a rimanere problemi rilevanti con le tradizionali antracicline. In particolare lo scompenso cardiaco si verifica in relazione a dosi cumulative elevate, ma un certo grado di cardiotossicità (in grado di limitare la performance cardiaca) può presentarsi anche con poche somministrazioni.
Molte volte quindi il clinico si trova nella condizione di dover sospendere il trattamento chemioterapico attivo e potenzialmente utile ai fini di mantenere la regressione clinica per il rischio di insorgenza di una grave cardiotossicità.
La Doxorubicina Liposomiale Pegilata rappresenta quindi un'importante nuova opportunità di trattamento. Nello studio internazionale su oltre 500 pazienti che è stato presentato alla Società Americana di Oncologia Clinica, emerge chiaramente che la Doxorubicina Liposomiale Pegilata è ugualmente attiva rispetto alla tradizionale Doxorubicina, ma molto meno tossica per il miocardio. Infatti gli eventi correlati a tossicità cardiaca si riducono da 48 a 10 con il nuovo composto.
Di particolare rilievo il fatto che la Doxorubicina Liposomiale Pegilata si mostri meno cardiotossica proprio nelle pazienti nelle quali il rischio di tossicità è maggiore: questo ultimo fatto è di grandissima importanza perché nella pratica clinica quotidiana le pazienti a rischio (anziane, ipertese, ecc.) sono la grande maggioranza e perché in molte circostanze le pazienti sono già state trattate in precedenza con le antracicline.
Le grandi attese nei confronti delle applicazioni cliniche delle nuove scoperte biomolecolari non debbono farci dimenticare che ancora per molto tempo il trattamento delle neoplasie sarà basato anche sulla chemioterapia. Il miglioramento dell'indice terapeutico dei chemioterapici rappresenta quindi ancora un grande tema per la ricerca clinica: da una parte i farmaci di supporto e dall'altra nuove formulazioni liposomiali possono contribuire sostanzialmente a ciò in molti casi.