Intervista al Prof. Nicola De Luca. Professore Associato di Medicina Interna presso l’Università degli Studi “Federico II” di Napoli e Direttore del Centro Interdipartimentale dell’Ipertensione dell'AOU “Federico II” di Napoli
1. Quale può essere il contributo dei wearables al monitoraggio del paziente iperteso?
Io credo che il contributo potrà essere molto rilevante, molto rilevante perché apre uno scenario totalmente nuovo: noi avevamo informazioni sulla malattia dell’Ipertensione arteriosa sempre legate al momento di incontro tra il paziente e il medico nel suo studio. C’è stata una rivoluzione negli anni Ottanta, Novanta quando abbiamo avuto la possibilità, la disponibilità, grazie alla tecnologia, di misurare la pressione fuori da questo momento e mi riferisco al famoso monitoraggio ambulatorio delle 24 ore. Noi abbiamo scoperto che la pressione come si comportava sui posti di lavoro, come si comportava di notte – era un dato che non avevamo – come si comportava e che risvolti aveva in termini prognostici, nel senso che noi avevamo necessità di inquadrare il paziente per poi dopo operare con una corretta Terapia in funzione dei valori pressori che conoscevamo che caratterizzavano quel paziente.
Abbiamo visto che uguali valori di pressione nello studio del medico comportavano, in funzione dei valori pressori che vedevamo e studiavamo fuori dalle condizioni dello studio medico, comportavano riscontri diversi e quindi un diverso poi comportamento con un rischio di complicanze diverso. Oggi noi abbiamo, la tecnologia mette a disposizione qualcosa di estremamente nuovo e molto vario, di cui ancora non possiamo inquadrare tutte le potenzialità, che è un oggetto che si può indossare e che può avere tante altre informazioni: faccio un esempio, l’ambiente dove il soggetto lavora, l’umidità, quello che succede di notte in termini non già solo di Pressione arteriosa ma di battito cardiaco. Quindi sono informazioni che potranno caratterizzarci il paziente in una modalità totalmente diversa, di cui noi oggi non abbiamo dati e non possiamo prevedere. Certamente si arricchirà la nostra conoscenza, e si arricchirà su un campo, quello dell’Ipertensione arteriosa, che è caratterizzato da voler semplificare una malattia che è diversa in ogni paziente, vale a dire quei valori di pressione sono alterati perché si sono attivate in quel paziente condizioni diverse di meccanismi di regolazione, che sono molto complessi. Quindi, io mi aspetto molto da questa nuova tecnologia.
Ci sono dei limiti ovviamente: noi siamo oggi alla prima generazione di questi strumenti nuovi, per cui sappiamo anche che coloro che lo usano lo usano soprattutto nel fitness, e quindi lo usano all’inizio poi non lo usano più se non rientra in un percorso magari organizzato, indicato da qualcun altro che può essere il trainer, e non da autodidatta. Noi oggi per esempio per la correzione degli stili di vita, ognuno di noi utilizzando il telefonino riesce a sapere quanti passi fa nella giornata: era un’informazione che non avevamo, quindi soprattutto su alcuni aspetti io credo che questi strumenti indossabili, che noi possiamo senza nessun disagio portare addosso, potranno darci molte informazioni che poi influiranno sui benefici che noi potremo portare al paziente, sia nel modificare…conoscendo il numero di passi, risulta evidente anche in chi è sedentario che se li deve aumentare quel numero e non è aumentato deve fare qualcosa in più lui. Quindi c’è una registrazione di un dato nuovo che oggi implica un beneficio e una verifica oggettiva in condizioni che noi spesso possiamo ipotizzare e che invece possono essere modificate, corrette, ma soprattutto registrate.
2. Quali registri online sono attivi per lo studio della popolazione ipertesa?
Noi abbiamo pochi registri online per lo studio della popolazione ipertesa. La conoscenza della popolazione ipertesa o soprattutto delle caratteristiche dei cittadini, e soprattutto dei pazienti, è sottoposta a rigide regole di privacy e quindi questo aspetto è estremamente importante. Noi oggi abbiamo la necessità di fare dei registri, o per lo meno è un momento nuovo in cui si sente questa necessità perché la ricerca dei dati della popolazione ipertesa che, io ricordo e sottolineo, è una popolazione che non ha una malattia, per lo meno percepita, ma che è a rischio di sviluppare malattie molto gravi a distanza nel tempo. Bene, noi tutti i dati in realtà li abbiamo presi da alcuni studi storici per esempio lo studio Framingham, cioè era una popolazione selezionata in una cittadina americana che poi veniva seguita nel tempo. In funzione dello studio delle caratteristiche poi noi abbiamo preso atto che chi aveva la pressione per esempio più alta moriva prima. Dopo questa, diciamo rudimentale, informazione con i suoi limiti, ma estremamente importante, che è stata decisiva, noi abbiamo avuto la possibilità di rispondere a delle domande di fisiopatologia affinché potessimo correttamente intervenire con terapie con i cosiddetti trails clinici. I trials clinici erano diciamo, erano condizioni speciali in cui precisi soggetti, quindi con caratteristiche di inclusione ben definite, quindi una popolazione selezionata, intraprendeva un percorso, veniva seguita nel tempo per rispondere a una domanda clinica per effettuare una correzione efficace del problema che ci si era posto. Il registro è qualcosa di diverso.
Oggi si sente la necessità soprattutto di archiviare quello che avviene nella pratica clinica quotidiana, la cosiddetta real life, vale a dire noi registriamo, teniamo per iscritto tutto ciò che accade nel quotidiano che è ben diverso da quello che noi magari abbiamo avuto come risposta dai trial clinici, che erano studi su popolazioni selezionate. Ovviamente i registri hanno dei limiti anche loro, se sono in qualche maniera influenzati dalla modalità di raccolta: anche il registro per essere, per diventare operativo deve passare l’approvazione di un comitato etico, quindi deve rispondere a un preciso quesito con il quale si realizza e portato a termine quello che è stabilito spesso non viene conservato. Quindi è estremamente utile oggi avere informazioni dai registri per capire quello che è il dato epidemiologico perché attraverso quel dato noi possiamo investire in correttivi mirati che possono essere ben diversi da quelli che sono invece i quesiti clinici che noi ci poniamo in condizioni particolari. Quindi io credo che ne abbiamo poca disponibilità.
Noi in Campania abbiamo un registro, abbiamo l’orgoglio di aver realizzato un registro che è quello definito da Campania Salute in cui noi nel tempo abbiamo archiviato e registrato l’attività clinica nel campo dell’ipertensione arteriosa a partire dagli anni ‘98 al giorno d’oggi. Quindi oltre quindici anni di archiviazione del follow-up dei pazienti ipertesi ed è una delle, diciamo, risorse su cui abbiamo lavorato in ricerca clinica di real life potremmo definire, e che ovviamente, i cui dati sono stati portati alla comunità scientifica e resi disponibili negli anni. Ovviamente abbiamo anche altri registri che sono stati realizzati in Italia, in alcune popolazioni particolari, nell’area dell’Emilia Romagna con lo studio Brisichella, ma sono sempre registri che realizzano una conoscenza in aree limitate, in aree particolari della nostra penisola.
Quale può essere il contributo dei Big Data nello studio dell'ipertensione?
Big Data significa una raccolta di informazioni enorme che una volta non era possibile. La disponibilità dello strumento informatico e delle nuove tecnologie consente di avere tantissime informazioni, alcune delle quali noi solo oggi abbiamo la possibilità di averle. La raccolta di questi dati così complessi che possono andare, non so, dall’ambiente in cui i pazienti vivono, dai dati clinici minuto per minuto, ora per ora, quindi tutta una grande raccolta di dati ci consentono di dire, di aspirare per lo meno, a realizzare una terapia di precisione, nel senso di dire possiamo individuare con anticipo l’alterazione specifica del paziente riferendoci a due aspetti fondamentali: il suo contenuto genetico, questa è una acquisizione recente, cioè la possibilità di conoscere il patrimonio genetico del singolo individuo, che è molto complesso, e di associarlo alle condizioni ambientali di quell’individuo. Quindi sono informazioni specifiche per un singolo individuo e in una malattia nella quale l’alterazione è relativa ai vari meccanismi complessi di controllo della pressione arteriosa, quindi in cui lo studio del patrimonio genetico sarebbe molto complesso già solo questo.
Noi siamo abituati a, e abbiamo avuto dei successi, quando nel patrimonio genetico c’era un’unica alterazione che determinava la malattia: disturbi per esempio di assorbimenti metabolici, lì siamo usciti vincenti ma era molto semplice. L’ipertensione arteriosa è una malattia complessa in cui tutti i sistemi di controllo a breve e a lungo termine possono essere alterati in maniera diversa, uno o di più, e quindi i meccanismi che li generano non sono legati a un unico gene ma a molteplici geni e alle loro variabilità. Quindi l’informazione è molto complessa di per sé. Non solo. Questa alterazione si interfaccia per esempio con gli stili di vita che possono essere ancora questi dati molto complessi raccolti in quello che noi facciamo nelle 24 ore del giorno, nelle sue possibilità già l’immaginazione può limitarci nell’informazione, la raccolta di tutte queste informazioni rappresentano i cosiddetti Big Data, cioè la raccolta di informazioni che ci possono consentire di studiare algoritmi decisionali su queste che sono le alterazioni individuali su cui poi andare ad operare. Quindi è una sfida ambiziosissima che nel prossimo futuro ci vedrà impegnati e che oggi è possibile perché associamo meccanismi di raccolta dati, possibilità di archiviazione e meccanismi di elaborazione dei dati che un tempo non erano disponibili.