La fava, scientificamente definita Vicia Faba, è una leguminosa della sottofamiglia delle Papilionacee: si tratta di piante erbacee annuali dal busto eretto, che producono fiori bianchi, dai quali si sviluppano i baccelli, lunghi fino a 30 cm, contenenti i semi verdi. Delle fave si distinguono due varietà fondamentali:
- Vicia Faba Equina, la fava cavallina, e la Faba Minor, la favetta, entrambe usate come foraggio in zootecnia;
- Vicia Faba Maior, la varietà più conosciuta, destinata ad alimentazione umana e caratterizzata da baccelli lunghi contenenti semi grandi e appiattiti.
Della seconda varietà, la cultivar da noi più diffusa è la Aguadulce, da cui traggono origine la Fava Lunga delle Cascine nonché la Sciabola Verde. Le maggiori coltivazioni si hanno nel Meridione dell’Italia e nelle Isole, anche se ormai cominciano ad estendersi anche verso il Centro; oltre quelle già menzionate, altre varietà sono la Astabella, la Pacco, la Aprilia, la Quarantina, la Gigante di Ingegnopoli, la Baggiana, la Corniola di Caltagirone, Riesi e Marsala; rinomate sono altresì la Fava Larga di Leonforte nonché la Fava di Carpino.
Altri Paesi produttori sono la Germania, per la massiccia presenza dell’etnia turca, nonchè la Cina e il Marocco. Assolutamente nulla ha a che vedere con le nostre leguminose la Fava Tonka, la cui pianta, Dipteris Odorata, appartiene alla famiglia delle Favacee originaria del Venezuela. Le fave sono dunque un alimento noto ed apprezzato dal buio dei secoli: un’orientativa datazione ne fa risalire i primi consumi all’Età del Bronzo o del Ferro, a circa 3000 anni orsono, come attestano anche i resti rinvenuti nelle tombe egizie, a dimostrazione che proprio le fave sono stati i primi legumi che l’uomo abbia mangiato.
Lo storico Erodoto, tuttavia, riferisce che i sacerdoti egizi non potevano mangiarne, in quanto le stesse erano considerate cibo impuro. Le testimonianze più importanti risalgono ai periodi greco e romano, ma comunque attraverso i tempi, le fave, per le loro caratteristiche botaniche e per le loro proprietà alimentari, hanno evocato numerosi simbolismi, spesso fra loro contrastanti; in generale esse non godevano nel mondo classico di una buona reputazione poiché si pensava che nei loro semi esse racchiudessero le anime dei morti.
Omero per primo nell’Iliade fa menzione delle fave. Pitagora, probabilmente affetto da favismo, ne dà un giudizio morale, proibendone il consumo agli adepti della sua scuola. Alcuni studiosi sostengono che esse fossero per i Pitagorici la rappresentazione delle Porte dell’Ade: concezioni e/o superstizioni nate in definitiva dalla consuetudine di usare tali leguminose durante i riti funebri come cibo per i defunti.
Il commediografo greco Aristofane asseriva che la zuppa di fave era stata il cibo preferito di Eracle mentre altre credenze ancora attribuivano loro proprietà afrodisiache.
Lo storico Plutarco riporta, poi, che le fave, suddivise in bianche e nere, furono usate anche come mezzo di calcolo e successivamente anche come manifestazione di voto nell’elezione dei magistrati, per cui l’espressione 'astenersi dalle fave' equivaleva ad astenersi dal voto.
Il valore funesto e negativo connesso alle fave si conservò anche presso i Romani: dopo la festa in onore della Dea Flora, nella quale le fave venivano gettate sulla folla in segno di buon augurio, il sacerdote di Giove non poteva più toccarle ed al Pontefice era finanche vietato nominarle. Il buongustaio Apicio, l’autore del vasto ed interessante ricettario, il 'De Re Coquinaria', dedicò alcune ricette alle fave, il cui consumo, nel periodo storico successivo, e cioè durante tutto il lungo Medio Evo, divenne l’abitudine costante delle classi economicamente più depresse, tanto da meritare a buon diritto il titolo di 'carne dei poveri'.
In agricoltura, poi, fin dall’inizio della rotazione agraria, triennale o quinquennale che fosse, le favucce da sovescio hanno sempre avuto un ruolo di primo piano arricchendo il terreno di azoto per prepararlo alla coltura successiva. Il graduale incremento delle coltivazioni dei fagioli, importati in Europa a seguito della scoperta dell’America, segnò, a partire dal 1500, l’inizio del declino del consumo di queste leguminose.
La fava ha il sapore della primavera e pertanto, come prodotto fresco, è reperibile tra aprile e maggio, fino a giugno, ma è importante che al momento dell’acquisto i baccelli siano lucidi, senza macchia, tanto da 'schioccare' come segno di freschezza, quando si spezzano per trarne i semi. Si possono consumare crude, in insalate o col pane e salame, o insieme a formaggi come il pecorino, come vuole la tradizione romana specie in occasione del 1° maggio, oppure accompagnandole con pane casereccio e pancetta curata o meglio ancora col guanciale, come esige la tradizione campana; o semplicemente arrostite dopo che sono state incise, come si fa con le caldarroste.
Le 'fave verdi', dette anche 'fave novelle', da surgelate, sono commercialmente reperibili in ogni periodo dell’anno, come pure quelle essiccate, adatte per creme o purè: come avviene pure per i ceci ed i fagioli secchi, se sono con la buccia vanno cucinate dopo una notte di ammollo, del quale invece non c’è necessità se esse sono prive della pellicina.
Ed anzi quando, specialmente nel consumo delle fave fresche, da cotte o da crude, si va a sbucciare il seme, o perché la buccia è dura o perché lo prevede espressamente la ricetta della preparazione, è opportuno tener presente che, ciò facendo, si rinuncia al 50% circa dei Nutrienti, specialmente in termini di fibre.
E le ricette per le preparazioni culinarie a base di fave non mancano davvero! Sono ottime infatti in sostanziose minestre o in gustosi contorni.
La tipica ricetta meridionale è il macco, piatto tipico siciliano già noto al tempo dei romani mentre l’incapriata abbina sapientemente il sapore dolciastro del purè di fave a quello amaro della cicoria lessata: condita da un filo di olio extravergine di oliva ed accompagnata da una bella fetta di pane, magari casereccio, è di per sé un pasto completo dal punto di vista nutrizionale, così come lo è pure l’altro piatto costituito da 'fave e baccalà', leggero e pieno di nutrienti, che mette insieme i 'grassi buoni' del pesce, gli Omega 3, ai preziosi aminoacidi delle leguminose: per non citare che le preparazioni più note, senza per questo voler trascurare le molte altre ricette connesse alle tradizioni culinarie delle singole regioni, tutte comunque inquadrabili a pieno titolo nei canoni della inossidabile Dieta Mediterranea.
E il discorso ci porta dritti alla tematica dei contenuti:
- non contengono colesterolo;
- non contengono glutine;
- la parte edibile delle fave fresche, essendo alto il contenuto di acqua, è appena del 26%: ne consegue che esse, tra i legumi, siano le meno caloriche, con appena 41 cal/100 gr; per contro, proprio per carenza d’acqua l’apporto calorico sale a 224 cal/100 gr nel prodotto secco;
- sono ricche inoltre di proteine, sali minerali e soprattutto contengono ferro, in misura anche superiore alle uova;
- contengono altresì le preziose fibre: 150 gr di fave forniscono quasi 1/3 del quantitativo di
Fibra che serve giornalmente.
Tali dati sono desumibili anche dalla tabella nutrizionale appresso riportata, riferita a 100 gr di prodotto e tratta dall'Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione - INRAN:
Fave fresche crude | Fave secche crude | ||
Parte edibile | % | 26 | 100 |
Acqua | g | 83.9 | 10.2 |
Proteine | g | 5.2 | 21.3 |
g | 0.4 | 3 | |
Colesterolo | mg | - | - |
g | 4.5 | 29.7 | |
Amido | g | 2.1 | 13.9 |
g | 2.2 | 14.5 | |
g | 5 | 21.1 | |
g | 0.52 | 1.1 | |
g | 4.45 | 20 | |
Energia | Kcal | 41 | 224 |
Energia | KJ | 171 | 935 |
Sodio | mg | 17 | - |
Potassio | mg | 200 | - |
Ferro | mg | 1.7 | - |
mg | 22 | - | |
Fosforo | mg | 93 | - |
Tiamina | mg | 0.11 | - |
Riboflavina | mg | 0.11 | - |
Niacina | mg | 1.27 | - |
Vitamina A | µg | 11 | - |
Vitamina C | mg | 33 | - |
Le fave fresche contengono inoltre Levo-dopa, una sostanza che pare incrementare la presenza di dopamina nel cervello; a tutt’oggi sono in atto studi tendenti al controllo dei sintomi del morbo di Parkinson per mezzo della Levo-dopa ma si tratta di un campo in piena evoluzione e, speriamo, in continuo divenire.
Le fave sono energizzanti, depurative e toniche, adatte agli sportivi, ai bambini debilitati, a chi soffre di astenia da cambio di stagione; sono indicate infine per combattere l’anemia. Quanti vantaggi arreca questa umile leguminosa che, tuttavia, ha meritato nel corso dei secoli i giudizi più opposti o contraddittori: da 'carne dei poveri' ad 'alimento tossico' sia fresca che secca; ed in effetti entrambi i giudizi hanno un loro fondamento.
La scienza di oggi ha appurato, infatti, che le fave effettivamente sono tossiche e pertanto il loro consumo è assolutamente controindicato per soggetti geneticamente predisposti in quanto privi dell’enzima G6PD: Glucosio-6-Fosfato-Deidrogenasi, che serve a proteggere i globuli rossi dallo stress ossidativo: in tali persone infatti il consumo delle fave sviluppa una crisi di anemia emolitica meglio nota col nome di favismo.
Per tutti quanti gli altri, che per fortuna sono la massima parte, le fave, fresche o secche, rimangono la materia prima sia per gustosi spuntini all’aria aperta sia per piatti a sé stanti o di contorno, di facile preparazione, a costi molto contenuti e ben inquadrabili in logiche e razionali diete alimentari. Buona zuppa di fave a tutti, magari con una fettina di pancetta curata: era il piatto preferito da Ercole ed ancora oggi rimane un’autentica leccornia della miglior cucina contadina!