Il raschiamento uterino è una procedura chirurgica effettuata o a scopo diagnostico o a scopo terapeutico. Con l'ausilio di una curetta (da cui anche il nome curettage), una sorta di cucchiaio tagliente, vengono rimossi frammenti di endometrio o una massa anomala contenuta nell'utero. La stessa procedura è praticata in gravidanza per rimuovere l’embrione, resti abortivi o residui placentari. In questo caso l’intervento è chiamato, più propriamente, revisione e svuotamento della cavità uterina.
Il raschiamento è una pratica chirurgica semplice, della durata di dieci minuti circa e generalmente senza complicanze, ma dolorosa. Richiede infatti una lieve anestesia con risveglio non fastidioso in quanto non si procede ad intubazione. L’intervento viene effettuato in day hospital e la paziente viene dimessa nell’arco della giornata.
Alcuni sintomi seguenti alla procedura, quali lievi perdite di sangue, crampi addominali, dolori di schiena, leggero rialzo della temperatura corporea, scompaiono rapidamente.
Indicazioni al raschiamento diagnostico
Il raschiamento diagnostico è finalizzato alla raccolta di piccole quantità di endometrio, il tessuto che rivesta la cavità uterina, che sarà sottoposto ad indagine istologica. Le indicazioni per questo accertamento sono sanguinamenti anomali o emorragie, soprattutto se in menopausa, sospetti polipi, fibromi o ispessimenti anomali dell’endometrio, possibile espressione di patologie preneoplastiche o neoplastiche del tessuto endometriale.
Limiti del raschiamento diagnostico
Il raschiamento come metodo di indagine è oggi pressoché caduto in disuso, sostituito dall’ecografia transvaginale e dall’isteroscopia. Soprattutto quest’ultima permette, con una piccola sonda-telecamera, di esplorare dall’interno la cavità uterina rendendo la diagnosi visiva e certa. Si tratta di una procedura poco invasiva, eseguita in regime ambulatoriale: non necessita di anestesia e riduce al minimo le complicanze dell’accertamento quali, ad esempio, i sanguinamenti, le infezioni e la più temuta perforazione uterina. Anche il prelievo bioptico per la diagnosi istologica delle eventuali anomalie può essere effettuato in maniera mirata e selettiva.
Raschiamento operativo, quando si fa?
Le indicazioni per un raschiamento terapeutico operativo restano, attualmente, gli aborti ritenuti, le emorragie post aborto o post partum, in cui devono essere rimossi i residui di materiale embrionario oppure i cotiledomi placentari o, ancora, nel caso di alcune condizioni particolari quali la mola vescicolare, una rara anomalia della fecondazione che consiste in un’alterazione dei villi coriali che, nella maggior parte dei casi, porta ad interruzione della gravidanza.
L’isterosuzione e il ricorso a farmaci antiabortivi ha limitato l’uso di questa procedura cruenta ed invasiva anche nelle interruzioni volontarie di gravidanza.
Limiti del raschiamento operativo
Come per il raschiamento diagnostico, anche per il raschiamento operativo le indicazioni si sono notevolmente ridotte. Infatti, le emorragie acute della donna giovane su base funzionale o per fibromatosi sono ora trattate in prima istanza con terapia medica e, successivamente, con l’applicazione di IUD medicati al progesterone o con la resezione o ablazione dell’endometrio eseguita con l’isteroscopia operativa.
Sempre con questa metodica che, oltre la sonda-telecamera, permette di introdurre in utero strumenti operativi come l’elettrobisturi e l’ansa diatermica, è possibile asportare polipi endocavitari, fibromi, aderenze cicatriziali e correggere malformazioni congenite quali l’utero setto, una delle cause di sterilità.
Il raschiamento: perché è una metodica obsoleta
In sintesi, “il raschiamento” è ormai una metodica desueta che presenta limiti consistenti. In campo diagnostico, non fornisce alcuna informazione sulla conformazione e sullo stato della cavità uterina (quali malformazioni, polipi e fibromi). Inoltre, poiché la procedura è effettuata alla cieca, anche il campionamento del materiale prelevato per la diagnosi istologica può non risultare sufficientemente rappresentativo della patologia in atto.
In campo operativo le indicazioni per la procedura rimangono limitate al campo ostetrico: si tratta delle cosiddette revisioni della cavità uterina, atte ad asportare frammenti di materiale embrionario o placentare o di tessuto patologico quale la mola vescicolare prodottasi a seguito di uno sviluppo anomalo della gravidanza.