Skunk: cos'è?
Il termine “skunk” non allude a qualcosa di ben definito, né è scientifico; in realtà si tratta di un termine generico indicante le infiorescenze (germogli) di cannabis coltivata al chiuso e contraddistinta da un odore forte (spesso, ma non sempre, coltivata usando sistemi di illuminazione ad alta tecnologia e specifici mezzi di coltivazione); la parola "skunk" in inglese vuole dire appunto "puzzola".
Lo skunk è una varietà di cannabis introdotta sul mercato a metà degli anni ‘80, ottenuta mediante un incrocio tra cannabis sativa e indica, utilizzando le linee native del Messico (Acapulco Gold), della Colombia (Colombian gold) e dell’Afganistan, attraverso modificazioni genetiche allo scopo di favorire la comparsa di determinate caratteristiche (in questo caso incrementarne la potenza). Il metodo più diffuso di assumere skunk consiste nel fumarlo, con o senza tabacco.
Fumare skunk è 10 volte più pericoloso e devastante della marijuana ed è addirittura paragonabile a quello dell'LSD (dietilamide dell’acido lisergico) o di altri allucinogeni. Il suo principio attivo, il tetraidrocannabinolo (THC), è, infatti, presente in concentrazioni pari al 16%, contro il 3-5% della marijuana comune.
Effetti tossicomanigeni dello skunk
L'uso di skunk determina la comparsa di effetti e sensazioni di tipo soggettivo ed ha effetti di esasperazione della percezione di ciò che circonda il soggetto. A dosi elevate, può determinare distorsioni più marcate nella percezione del tempo, dello spazio e del corpo, associate ad allucinazioni visive e/o uditive e depersonalizzazione accompagnata da sensazione di distacco dal proprio corpo.
Lo skunk è una droga "dispercettiva", in grado di amplificare le sensazioni di benessere e di ilarità, ma anche quelle legate a situazioni o pensieri spiacevoli e può determinare, in alcuni casi, stati fortemente ansiosi, atteggiamenti e pensieri paranoici.
Lo stato psicologico dell'individuo che fa uso di skunk è importante perché, in base ad esso, l'effetto potrà essere più o meno amplificato e, quindi, può provocare effetti aggiuntivi rispetto alle sue proprietà; ad esempio la suggestione e la paura dell'effetto psicoattivo possono provocare stati di ansia, vomito ed eccessiva sudorazione.
Dipendenza e astinenza allo skunk
Fumare skunk nei giovani triplica il rischio di sviluppare malattie psichiatriche, come schizofrenia e disturbo bipolare; l’uso di skunk triplica il rischio di psicosi rispetto ai non consumatori e lo quintuplica in caso di consumo giornaliero. Inoltre, l'interruzione improvvisa dell'assunzione di skunk dopo un periodo di utilizzo cronico ad alti dosaggi può causare insonnia, agitazione, perdita dell'appetito, irritabilità, rabbia ed un aumento dell'attività muscolare e dell'aggressività.
Gli effetti farmacologici della cannabis, ma non dello skunk
È ormai da tempo noto che il principio attivo della cannabis, il tetraidrocannabinolo (THC), oltre ad agire sui circuiti del piacere dando luogo agli effetti voluttuari, svolge tutta una serie di azioni che possono essere utilizzate in terapia per diversi tipi di applicazioni sempre e solo sotto controllo di medici o strutture specializzate e autorizzate a trattare con il principio attivo.
Il THC ha un effetto ansiolitico, analgesico, antiepilettico, antiemetico, è in grado di stimolare l’appetito e, infine, ha un’azione vasodilatatrice e rilassante a livello muscolare.
Per questi motivi i cannabinoidi sono oggi utilizzabili con successo come farmaci nel trattamento del vomito e della nausea, come antidolorifici e anticonvulsivanti, antidepressivi, vasodilatatori contro l’asma bronchiale, nonché nel glaucoma e nell’anoressia.
Una meta-analisi del 2001 ha concluso che la cannabis è efficace nel trattamento del dolore neuropatico e produce un’azione significativa anche nel dolore oncologico e nei sintomi dolorosi e spastici della sclerosi multipla.
Infine studi recenti rivelano l’efficacia dei cannabinoidi nella cura dei pazienti affetti da sindrome da cachessia da AIDS associata a sproporzionata perdita di massa muscolare.
Altri effetti che sono allo studio riguardano le malattie autoimmuni, il cancro, la neuroprotezione, la febbre e le alterazioni della pressione arteriosa (pressione bassa).
Gli effetti acuti dell’assunzione di THC sul sistema cardiovascolare sono da tempo noti e consistono in un incremento, dose dipendente, della Frequenza cardiaca e della pressione arteriosa.
Effetti negativi della cannabis e abuso di sostanze
Il concomitante uso o abuso di altre sostanze come la cocaina o le anfetamine, che producono effetti cardiovascolari simili, costituisce un fattore aggravante sia per la fisiopatologia cardiaca in acuto, sia per quanto riguarda la salute cardiaca nel lungo termine.
Una stretta relazione temporale tra assunzione di cannabinoidi e insorgenza di fibrillazione atriale è stata descritta in numerosi studi e riguarda soprattutto soggetti giovani sani e non esposti a fattori che abitualmente precipitano la fibrillazione.
Più recentemente è stata individuata una correlazione tra consumo cronico di cannabinoidi e psicosi: l’uso protratto della cannabis sembra capace di indurre attacchi psicotici in soggetti già predisposti ed esacerbare la sintomatologia in pazienti cui la patologia è stata già diagnosticata.
Inoltre l’uso quotidiano di derivati della Cannabis comporta un aumento di 5,6 volte dei sintomi di depressione e ansietà nell’arco di un periodo pari a 7 anni; l’uso settimanale comporta invece un aumento del rischio di circa due volte.
Tutti questi effetti, farmacologici e non, della Cannabis sono legati al fatto che i cannabinoidi si legano a specifici recettori (CB, di tipo 1 e 2) ampiamente distribuiti nel sistema nervoso centrale a diversa localizzazione: i CB1 sono principalmente concentrati a livello centrale nel talamo e nella corteccia, mentre i CB2 sono presenti sostanzialmente in periferia e, in particolare, nelle cellule del sistema immunitario.
A cura di:
Nicoletta Ciaramella
Scuola di Specializzazione in Farmacia Ospedaliera
A.O.R.N. A.Cardarelli