Incrementare l’attività fisica per ridurre il dolore cronico. È il risultato di uno studio condotto dai ricercatori della Indiana University-Purdue University Indianapolis, e pubblicato dal portale specializzato Pain News Network. In particolare, l’indagine ha esaminato i meccanismi che regolano le sensazioni di aumento o diminuzione della percezione del dolore. Così, dopo aver monitorato per una settimana, attraverso una serie di dispositivi, l’attività di 51 adulti di età compresa tra 60 e 77 anni, e aver condotto una serie di test - per valutare l’entità del Dolore e la percezione in risposta a determinati stimoli - è emersa una percezione del dolore inferiore negli adulti abituati a svolgere (moderatamente o con continuità) attività fisica. Nel corso del tempo, coloro che si allenano tendono a sviluppare una serie di risorse maggiori da mettere in campo nel contrasto al dolore cronico.
L’attività fisica, dunque, può rappresentare un elemento chiave nel trattamento della gestione del dolore: corsi di ginnastica, fisioterapia, passeggiate e gite in bicicletta come parte di un trattamento che, ad ogni modo, deve focalizzarsi anche sulla qualità del sonno, con l’obiettivo di ridurre l’insonnia legata al dolore e di aiutare i pazienti a recuperare l’energia indispensabile ad impegnarsi nella stessa attività fisica.
Tipologia di farmaci
Secondo la scala sull’intensità del dolore suggerita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità esistono tre tipologie di farmaci per la cura del dolore cronico:
- gli analgesici non oppioidi, che vengono valutati di primo livello;
- gli analgesici oppiacei, considerati di secondo livello e che possono a loro volta essere suddivisi, a seconda della potenza di azione, in deboli (come la codeina) e forti (ad esempio la morfina);
- gli adiuvanti degli analgesici.
Ma qual è la situazione in Italia? La piattaforma Nientemale, laboratorio attivo per la risposta al dolore riporta che nel nostro paese il dolore cronico interessa tra i 12 e i 15 milioni di abitanti, compromettendo anche in modo significativo la qualità della vita, la carriera e le relazioni sociali. Inoltre sono ancora pochi i cittadini a conoscenza della normativa italiana in merito (la legge 38 del 15 marzo del 2010, che si rivolge sia a pazienti affetti da malattie inguaribili sia a quelli interessati da patologie dolorose croniche): solo il 32% è stato informato dal proprio medico e sa a chi fare riferimento; il 38% di chi ne soffre cerca rimedio in prima persona e agisce grazie al passaparola oppure informandosi online.
La realtà virtuale per scopi terapeutici
Spesso si sente parlare della realtà virtuale come strumento per vivere esperienze indimenticabili. Ma questa tecnologia è importante anche per scopi differenti, come fornire una distrazione potente al nostro cervello per combattere e gestire il dolore cronico.
In una nota il professore di psicologia all’University of Washington, David Patterson, che utilizza questo tipo di terapie soprattutto con gli ustionati, spiega che “la teoria dietro al suo utilizzo è semplice: c’è solo un certo quantitativo di attenzione disponibile per elaborare il dolore e se sei in grado di spostare quell’attenzione i pazienti pensano meno al dolore e lo sentono di meno”.
Lavorando a stretto contatto con un altro ricercatore, Hunter Hoffman, Patterson ha iniziato a utilizzare un gioco chiamato SnowWorld, in cui i pazienti vengono trasportati in un mondo coperto di neve e devono lanciare palle di neve a un pupazzo di neve. I pazienti affermano di avvertire meno dolore e i risultati trovano riscontro anche dagli studi condotti sul cervello.