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Donne contro donne: la violenza femminile

Donne contro donne: la violenza femminile

Una delle cause principali della violenza delle donne sulle altre donne è l'invidia, frutto di una mancanza e di una debolezza personale.

La violenza è un mostro che toglie il senno e c'è un tipo di violenza molto sottile, a volte impercettibile al punto da non essere colta: quella delle donne sulle altre donne. Una delle cause di questa forma di violenza è l'invidia che non è solamente un sentimento nascente dallo sguardo verso l'esterno, ma è un rivolgimento proiettivo di un'immagine dolorosa di se stesse deboli, ossia una parafrasi di 'Io contro Me'.

La violenza che nasce dall'invidia femminile nasce dall'impossibilità di essere se stessa e non solamente di non poter essere l'altra. Un po' una sorta di interpretazione della violenza sadica come un'inaccettabile violenza masochistica. Al posto di essere violente contro se stesse si è, in questi casi di capovolgimento, violente contro le altre: ogni volta che si è nella tragica situazione psichica di soddisfare sentimenti inaccettabili attraverso l'uso della violenza, si 'sceglie' se essere violenti (spesso crudeli e cruente) con se stesse o con le altre rappresentanti-di-se-stessa. E dunque può essere un tipo di violenza femminile quella che sfocia nell'invidia dell'altra a partire dalla mancanza di se stessa.

Infatti, non a caso l'invidia è il sentimento della mancanza e non della perdita, che è invece il sentimento della gelosia: si è invidiose per ciò che non si ha e che le altre hanno e si è gelose per ciò che si aveva e non si ha più in quanto perduto. Non avere e non avere più sono grandi scintille di violenza, quasi sempre inaudita, a volte celata a volte manifesta: più è celata più è sottile; più è manifesta più è grossolana.

La differenza la fanno la percezione del Dolore e del tormento (proprio e di quello arrecato) e la freddezza o il 'calore' rispetto all'azione di violenza. Questo discorso della proiezione all'esterno di invidia e di gelosia non è un discorso di genere e, dunque, anche gli uomini si comportano nella stessa maniera ma la loro violenza è indirizzata verso gli altri indifferentemente, salvo essere più facilmente realizzabile contro le donne per una serie enorme di variabili, in cui la debolezza femminile non è mai causa bensì effetto: non è mai in gioco la 'potenza' dell'altro, la sua risposta alla violenza, quanto l'immagine simbolica dell'altro, ossia si violenta l'immagine dell'altro e mai l'altro per se stesso – tranne che le azioni sono concrete - eccome! - oltre che essere psicologicamente devastanti.

Le condizioni che scaturiscono la violenza verso lo stesso sesso sono un po' differenti: infatti, la violenza etero indirizzata è quasi sempre derivata da situazioni psichiche più o meno gravi che vanno dalle serie difficoltà di affermazione del valore di se stessi fino alla patologica imposizione, ossia dalla prevaricazione dell'altro, all'annullamento della sua esistenza.

Se nel primo caso è sufficiente 'far male', nel secondo per placare la violenza occorre arrivare alla tortura e all'omicidio (seriale e non); in ogni caso si tratta di violenza di sopraffazione, di presupposta supremazia contraria alla sudditanza. Nell'altra situazione - quella donna-donna - si tratta di violenza punitiva dell'immagine femminile ed è generata dall'odio a sua volta generato dal capovolgimento dell'originario sentimento d'amore.

La violenza donna-donna si origina per riproporre una punizione anticamente non permessa: un po' come quando da bambine si picchiava la propria bambola perché si avrebbe voluto picchiare la mamma che a sua volta ha picchiato (o 'picchiato' simbolicamente, magari attraverso un qualsiasi rifiuto) la bambina. La donna contro la donna difficilmente arriva a torturare o a diventare serial killer, non solo perché non è nelle sue corde ma anche perché, appunto, la sua 'necessità' di violenza è molto meno determinata all'annullamento quanto più al recare sofferenza e al recare distruzione non tanto fisica quanto morale (ne è un semplicissimo esempio il parlarne male).

Una donna violenta vuole insinuarsi (violentemente) nella serenità dell'altra per mille sue ragioni che prende a giustificazione e sia che si auto infligga violenza (vedi i tragici casi di autolesionismo e di anoressia/bulimia) sia che infligga violenza con Dolore morale all'altra, il motivo è pressoché uno solo: l'abbandono.

Decisamente di più dell'invidia ed è dunque utile ricordare che è per gelosia che si diventa violente. Come quasi tutto ciò che riguarda l'universo femminile, anche questo meccanismo psicologico non è facile né da esplicitare né, di conseguenza, da comprendere. Partendo dall'evidente base che la perdita riguarda l'amore della mamma, il percorso è più o meno il seguente: “tu, mia simile (mamma) hai smesso di tenermi con te mentre io ho ancora bisogno del tuo amore, pertanto ti porto via (perché sono gelosa) ciò che io voglio tu non abbia (un'altra persona o qualsiasi altra cosa ritenuta sostituta) e pertanto divento violenta con te”.

La donna ferita per abbandono (ovviamente compreso quello psicologicamente ritenuto tale) è spietata perché abilmente sottile: la donna violenta riesce a far passare molto, se non tutto, sotto l'egida dell'amore e del tradimento. Se una donna si sente abbandonata vuol dire che è stata tradita e mai si può perdonare ad una madre di aver abbandonato la propria bambina finché non sopraggiunge una sana evoluzione delle immagini introiettate.

Si tratta evidentemente di amore incestuoso-omosessuale non elaborato ritrovabile in tutte quelle relazioni donna-donna molto intime e significativamente coinvolgenti. Persino un'analista donna è soggetta a questo enorme rischio di essere travolta dall'amore/odio da parte di una paziente: il tenero amore ('filiale' verso la 'madre' analitica) può improvvisamente tramutarsi in violento odio davanti ad una percezione o peggio 'convinzione' di abbandono. Ed è molto difficile per una mamma analitica, esattamente come per una mamma biologica, determinare il momento maturo del distacco.

Se maturo non è, il momento genera inevitabilmente una reazione violenta, contro la 'figlia' (ad esempio, si rimette in condizione problematica o patologica) o contro la 'madre', facendole tutto il male che riesce a pensare e a fare. Dunque, donna contro donna significa figlia contro madre e colei che è vista come 'madre' se agli occhi della 'figlia' abbandona, merita la più violenta reazione che mai una mente femminile immatura possa architettare e mettere in atto.

Se è quindi vero che la nostra attuale società è carente di Padri ritenuti assenti, è altrettanto vero che le Madri ci sono ma sono ritenute ree di infedeltà e di sacrificio alle figlie. E dunque è altrettanto vero che i nostri figli hanno già in dotazione il movente della violenza: perché hanno sia poche 'regole' (paterne) che poche 'certezze d'amore' (materne).

A cura di:
Prof.ssa Grazia Aloi
Specialista in Psicologia e Psicoterapia e Sessuologia

Ultimo aggiornamento: 01 Marzo 2021
7 minuti di lettura

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