Gravida è la donna che porta dentro di sé il suo bambino e puerpera è colei che lo ha dato alla luce. Di mezzo, una delle esperienze più significative della vita: il parto. Molto spesso, si dà risonanza ad uno solo degli aspetti ad esso collegato: quello della nascita, che – proprio perché evento di grande valore psicologico – non contiene simultaneamente la totalità degli effetti conseguenti.
Tante le verità sul significato del parto, ma altrettanti i luoghi comuni, quali ad esempio l’istinto e l’amore materno e la certezza che le sofferenze fisiche e i disagi psicologici saranno dimenticati. Questi pensieri mettono già la puerpera nella condizione di 'dover essere' in un modo atteso e desiderato, senza che possa totalmente rendersi conto delle sue emozioni e dei suoi desideri.
Un risvolto poco considerato è il ritorno ad uno stato precedente che non potrà mai più essere realmente il precedente; 'quello' che prima era dentro la pancia, ora non c’è più, la pancia stessa non c’è più... e non c’è più nessun legame diretto con il proprio bambino. Dal Parto in poi, ogni relazione dovrà essere creata e, quindi, scelta. Dover amare il proprio bambino è un’imposizione sociale che spesso traduce l’amore già spontaneo, ma non sempre. Infatti, è possibile, per parecchie donne, non essere nelle condizioni psichiche per accudire liberamente la propria creatura.
Molti gli elementi scatenanti e molti quelli conseguenti. Nell’antica Grecia, Ilizia era la Dea che assisteva al parto e proteggeva le partorienti ed è pertanto a lei che ogni puerpera, consapevolmente o non, si 'affidava' per la protezione e la tutela delle difficoltà emotive e psichiche rispetto all’amore e all’accudimento della propria creatura.
Le situazioni puerperali post parto
In letteratura si parla essenzialmente di depressione post parto tenendo in scarsa considerazione quella forma francamente depressiva che già all’interno della gravidanza si manifesta normalmente con attacchi d’ansia e modeste manie persecutorie rispetto alla salute del nascituro, investendo tutta una logica propria della gravida, della sua autostima e della sue capacità immaginative di adattamento verso l’evento prossimo. Quindi, di Depressione si può, e si dovrebbe, parlare anche durante gli ultimi mesi della gravidanza.
Baby blues
Si tratta di una condizione emotiva post – natale, molto vicina alla tristezza, che non ha effetti patologici. I sintomi sono legati al radicale cambiamento dello stile di vita, allo spossamento del travaglio e del parto, alla fatica e allo stress, al debilitamento fisico, alla mancanza di abitudine alla nuova situazione familiare, all’ansia per l’attesa della montata lattea, alle condizioni del neonato eccetera; tristezza dovuta, cioè, a situazioni concrete con i loro relativi risvolti psicologici che non comportano gravi difficoltà o impedimento nell’assolvimento dei compiti.
I sintomi compaiono tra il terzo e il quinto giorno e scompaiono, normalmente, entro due settimane. L’esperienza del baby blues è vissuta da una percentuale variabile tra il 15 e l’85% ma solo una donna su cinque, in genere, sviluppa depressione post-parto. Essendo per definizione una situazione transitoria, non sono previsti interventi, se non quelli riguardanti l'educazione alla nuova situazione e la rassicurazione sulla benignità dei sintomi.
Depressione post partum
È una forma depressiva, non psicotica, del dopo parto. Insorge nel secondo/terzo mese dal parto e può mantenersi fino ai dodici mesi; l’incidenza maggiore è registrata nelle prime 6 settimane e il 3-6 % di queste forme va incontro ad una vera e propria psicosi puerperale.
L’insorgenza di tale tipo di depressione è soggetta a fattori di rischio che normalmente sono così riassunti:
- storia personale di depressione precedente
- mancanza di sostegno sociale
- difficoltà di rapporto con il partner
- eventi stressanti recenti
- presenza di psicopatologia nella storia familiare
- gravidanza non pianificata
- presenza di altri figli
- stress parentale prenatale
- precarie condizioni economiche e di salute in genere.
Gli indicatori diagnostici, invece, sono i seguenti (American Psychiatric Association, presenza di 5 o più dei seguenti sintomi, perduranti per almeno due settimane):
- basso tono dell'umore
- perdita di interesse
- aumento o diminuzione dell'appetito
- insonnia
- ipersonnia
- rallentamento o agitazione psicomotori
- spossatezza o sensazione di perdita delle forze
- senso di colpevolezza o indegnità
- diminuzione della concentrazione
- pensieri ricorrenti di suicidio
- aggressività.
Nella letteratura anglosassone si preferisce accorpare questo tipo di patologia al disordine bipolare o alla schizofrenia, date le scarse differenze diagnostiche con queste ultime sintomatologie.
Psicosi puerperale
Si tratta di un disturbo psichiatrico che colpisce 1-2 donne su mille. I sintomi più frequenti sono: stato confusionale, gravi oscillazioni del tono dell'umore, comportamenti eccentrici, delirio, allucinazioni. Fattori di rischio sono la storia personale o familiare di schizofrenia o di psicosi maniaco-depressiva.
Anche le donne con precedente psicosi puerperale sono ad alto rischio di recidiva nelle successive gravidanze (25 – 50 %). La comparsa può essere drammatica, con inizio subito dopo il parto o entro 48-72 ore. Nella maggior parte dei casi i sintomi si sviluppano entro due settimane dal parto. La mamma colpita da psicosi puerperale è totalmente incapace di affrontare la vita quotidiana e soprattutto non è in grado di prendersi cura del proprio bambino. È necessario un intervento terapeutico immediato ed appropriato.
Le condizioni psicologiche reattive: stress spicologico
La definizione di stress proviene dall’ingegneria e indica la forza che, applicata ad un materiale, produce tensione o cambiamento meccanico; in psicologica, esso fu inizialmente inteso come sinonimo di stimolo nocivo e anche come l’insieme delle reazioni difensive – di natura fisiologica e psicologica – messe in atto per far fronte ad una minaccia o sfida e per ristabilire, in modo adattivo, l’equilibrio omeostatico.
Successivamente, in merito alla specifica indicazione di stress di tipo psicologico, si inserì la componente relazionale (emotiva e cognitiva) nei confronti dell’evento: ogni evento esistenziale, compresi quelli socialmente ritenuti di grande impatto emotivo/psicologico (tra cui il parto) non è di per sé stressante (nocivo) se non in misura dell’attribuzione quantitativa soggettiva di significato emotivo (e simbolico).
Si è quindi passati ad una relazione intima ed individuale con l’evento, fatto che permette di considerarlo più o meno stressante e di assoggettarlo ad una più o meno proficua gestione emotiva e razionale, senza tuttavia trascurare l''oggettività' della componente stressogena (ad esempio, considerazione sociale, caratteristiche intrinseche, durata e frequenza temporale dell’esposizione). In ultimo, si è definito che un evento è maggiormente più stressante quanto maggiormente il soggetto si riterrà inadeguato e sprovvisto di risorse per fronteggiarlo.
Coping
Si tratta della dimensione psicologica coinvolta nel processo di adattamento in situazioni stressanti. Per definizione, tale dimensione è singolarmente posseduta ed utilizzata in misura differente e, applicata, mette in atto un processo strategico di valutazione delle proprie risorse; tale processo comprende l’elaborazione di pensieri finalizzati ad una serie di azioni cognitive e comportamentali per il controllo dell’impatto e della portata che l’evento stressante ha sulla propria esistenza.
Empowerment
È la capacità individuale di praticare e rendere operative le proprie risorse individuali nel percorso di raggiungimento del benessere. La capacità individuale è, però, soggetta al contesto sociale nel senso che è mediante esso che le persone possono acquisire le competenze necessarie a sviluppare le abilità di adattamento e di modificazione rispetto allo stile di vita. Grazie al processo di empowerment ogni soggetto sente 'di avere potere' oppure 'di essere in grado di fare'.
A cura di:
Prof.ssa Grazia Aloi
Specialista in Psicologia e Psicoterapia e Sessuologia