Malattie in carcere, carcere delle malattie rare e croniche: quando l'isolamento è forzato, il disagio di vivere una progressiva alienazione provoca e accentua gravi disturbi psichici e fisici.
È il caso della detenzione per pena: soprattutto nel primo periodo, quando il carcerato non è ancora abituato alla condizione di recluso, si manifestano sintomi di deterioramento psichico, come
La mancanza di autonomia conduce ad una perdita della propria identità, anche sessuale, in cui il detenuto avverte se stesso come oggetto. La compensazione avviene con un'amplificato atteggiamento di remissività, o con un'ingiustificata attitudine al comando e alla sopraffazione: opposti comportamenti che disegnano la gerarchia del sottobosco carcerario, caratterizzata da leader e gregari.
Non esistono malattie tipiche della condizione del detenuto, ma è pur vero che in carcere qualsiasi disturbo, anche un semplice
L'impossibilità di muoversi agevolmente e di praticare esercizio fisico può causare problemi di atrofia muscolare, ulteriormente complicati dall'insorgere di una esasperata sedentarietà:
“Si tratta di un rifiuto inconsapevole, generato da ansia e disperazione - spiega il dott. Giulio Starnini, specialista in Malattie Infettive, Direttore Unità Operativa Medicina Protetta - Malattie Infettive Ospedale Belcolle Viterbo e Past president e fondatore Società Italiana Sanità e Medicina Penitenziaria - e a volte consapevole, quando il detenuto si persuade che l'aggravamento della sua malattia, o addirittura la simulazione di una patologia, possano garantire il trasferimento o la libertà vigilata. La depressione può indurre ad esempio un malato di Aids ad astenersi dalla terapia farmacologica, abbassando seriamente le difese immunitarie. Sta al medico penitenziario saper interpretare un rifiuto della terapia, attraverso un approccio olistico: non si studia il mero sintomo della malattia, ma la persona nella sua totalità”.
Vivono una forzata solitudine anche i malati cronici, colpiti da patologie che presentano sintomi costanti nel tempo e che non prevedono miglioramento. Oltre alle malattie causate principalmente da ereditarietà ed invecchiamento, esistono molte malattie croniche, come le cardiopatie, l’
Quando la malattia è invalidante, la solitudine diventa un incubo, ma anche un rifugio, per chi per primo non accetta la propria condizione e stenta ad integrarsi in un mondo di 'normali'. Un sostegno può arrivare dalle associazioni di malati, che tendono a promuovere l'interazione fra degenti di una medesima Patologia e la creazione di momenti di discussione e di scambio reciproco in cui il malato, verbalizzando pensieri e sentimenti negativi relativi alla propria malattia , e sfogando la propria frustrazione, possa imparare ad accettare la propria condizione e rendere così meno difficile un inserimento nel mondo esterno.
Ma la solitudine del malato cronico nasce anche dalla carenza di un efficace sostegno da parte del sistema sanitario nazionale: “Quello che manca negli ospedali pubblici è un reale programma di supporto per il malato cronico, sia nel momento della diagnosi, che per tutto lo sviluppo della patologia, in particolare nelle fasi di ricaduta” - sostiene Tonino Aceti, coordinatore nazionale del CNAMC - Coordinamento Nazionale Associazioni Malati Cronici. "I malati cronici vengono lasciati soli con il loro dramma, e lo stato depressivo in cui sovente cadono può inficiare la Terapia ed influenzare negativamente il percorso della malattia”.
“Un problema fortemente sentito dai malati cronici anziani, colpiti ma patologie invalidanti come
Problemi di deambulazione impediscono ai malati cronici di sbrigare le pratiche e le certificazioni per il riconoscimento dell'invalidità per l'ottenimento di agevolazioni economiche e presidi sanitari domiciliari (letti snodabili, carrozzine, materassi antidecubito), e di trasferirsi nei luoghi di Diagnosi e terapia. Una soluzione possono essere gli
E sembra sia in costante aumento negli ospedali il fenomeno del cosiddetto 'auto ricovero', per cui un anziano solo si rivolge al pronto soccorso al primo aggravamento o al primo sintomo di malattia. Al momento della dimissione, la prospettiva di un rientro a casa, senza assistenza da parte dei parenti, in abitazioni che presentano grandi ostacoli come la mancanza di ascensore, induce il malato a compiere un penoso pellegrinaggio verso un altro presidio ospedaliero.
La solitudine è il pericolo che corre chi soffre di una delle tante
L'incertezza circa la natura del proprio malessere spesso conduce il malato, dopo una sequenza di visite mediche ed esami insoddisfacenti, ad isolarsi nel suo dolore e rifiutare qualsiasi proposta di indagine. Esistono malattie rare cui si associa il fenomemo del farmaco 'orfano', che non si trova in commercio a causa dell'insufficienza di richiesta di mercato utile a ripagarne la produzione, a cui si combina la mancanza di esenzioni ed assistenza a livello pubblico e privato. In Italia, dove si contano circa due milioni di malati rari, solo negli ultimi anni sono stati individuati in ogni regione i presidi per l'assistenza per queste malattie, con l'attivazione di registri, osservatori, centri di coordinamento ed assistenza.
“Le caratteristiche proprie delle malattie rare (bassa frequenza nella popolazione, difficoltà diagnostica e conseguente peregrinazione fra diverse sanitarie, scarsità di terapie risolutive, cronicità) sollecitano vissuti di disagio e solitudine nelle persone colpite da tali patologie e nei loro familiari più che in altre malattie – dichiara la dott.ssa Domenica Taruscio, Direttore Centro Nazionale Malattie Rare dell'Istituto Superiore di Sanità di Roma. Analogamente tra gli operatori sanitari e sociali che entrano in contatto con questo universo si riscontrano spesso impotenza e frustrazione. Tuttavia, anche nelle situazioni più complesse emergono risorse importanti, sia a livello individuale che di gruppo, tali da fronteggiare le difficoltà, stimolare il confronto, e sopratutto porsi come soggetti attivi sia nella relazione di cura che nella società”.
La solitudine produce malattia, la malattia porta all'isolamento. Ma è anche nella solitudine che si può recuperare se stessi: “Restituire all'arpia le sembianze della ninfa” come afferma il dott. Pasquale Romeo, Responsabile Nazionale per la Disciplina Psichiatrica Gruppo di Ricerca dell'Università di Siena, che nel suo libro 'Soli soli soli, come affrontare la solitudine' invita a non demonizzare questa condizione. “In una società che rifiuta la solitudine, dobbiamo imparare a godere di essa. Senza la solitudine non si può comprendere il senso del 'carpe diem', perché solo nella solitudine possiamo soffermarci attentamente sui nostri bisogni e scoprire le nostre reali vocazioni”.