Sono ancora tanti gli interrogativi degli esperti su come si comporta il nuovo coronavirus e ad oggi non ci sono evidenze scientifiche sufficienti per affermare che si diventa immuni al Sars-Cov-2, né tanto meno elementi per stabilire per quanto tempo sopravvivono gli anticorpi.
Esistono tuttavia alcuni indizi su cui gli esperti stanno lavorando in diversi campi di prevenzione (vaccini, farmaci antivirali, test sierologici ecc.) per arrivare ad ottenere una possibile immunità di massa e bloccare la diffusione del Covid-19.
Sistema immunitario e anticorpi
Cominciamo spiegando in maniera semplice il meccanismo di difesa che l’organismo attiva in risposta a virus e batteri che minacciano la nostra salute, e che coinvolgono il sistema immunitario e gli anticorpi.
Quando un virus attacca il nostro organismo, il corpo risponde immediatamente con una reazione immunitaria innata distruggendo le cellule esposte all’infezione e stimolando l’infiammazione (aumento della temperatura) per creare un ambiente ostile alla minaccia. Un’azione efficace ma piuttosto istintiva che non manterrà memoria dell’antigene incontrato.
In molti casi, a questa prima risposta segue una reazione più mirata che deriva dall’immunità adattiva, in cui il corpo produce anticorpi specifici (immunoglobuline) proprio per quel virus, distruggendo solamente le cellule infette e preservando le altre. Si tratta di un’azione più sofisticata rispetto alla precedente e richiederà un po’ di tempo prima che possa attivarsi e rivelarsi efficace. Il sistema immunitario impara così a riconoscere l’antigene e a produrre anticorpi specializzati ogni volta che si ripresenteranno.
Come si diventa immuni al nuovo coronavirus
Il nuovo coronavirus è portatore di una infezione conosciuta solamente da 5 mesi e quello che gli esperti hanno potuto ipotizzare è che anche il Sars-Cov-2 possa comportarsi come gli altri coronavirus già conosciuti (SARS e MERS ad esempio) ovvero che un soggetto contagiato rimane, una volta guarito, in qualche modo protetto sviluppando una forma di immunità.
Secondo le ricerche condotte finora si stima che sarebbero necessari una decina di giorni prima che avvenga la risposta immunitaria adattiva e quindi che l’organismo inizi a produrre naturalmente anticorpi specifici al nuovo coronavirus.
Lo sviluppo dell’immunità viene spesso misurata dalla presenza di anticorpi di tipo IgM ed IgG nel sangue. I primi compaiono mentre l'infezione è ancora in corso per poi scomparire nel giro di poco tempo, mentre gli anticorpi IgG compaiono più tardi ma rimangono nel sangue più a lungo (mesi/anni).
Diversi studi hanno confermato che il Sars-CoV-2, responsabile della malattia Covid-19, produce una risposta anticorpale di tipo IgM ed IgG contro il virus per cui un test di laboratorio può scoprire se una persona è entrata in contatto con il nuovo coronavirus dalla presenza o meno di questi anticorpi.
Perché alcune persone si sono ammalate di nuovo?
Sulla durata dell’immunità al nuovo coronavirus sono moltissimi ancora i dubbi della ricerca poiché diversi sono stati gli episodi in cui persone ammalate di Covid-19 e guarite, poi hanno sviluppato di nuovo la malattia.
Le risposte della medicina farebbero ricadere la causa non a problemi di immunizzazione ma piuttosto a delle ricadute dovute alla carica virale che torna a crescere causando nuovamente sintomi, che comunque si rivelano di solito molto più lievi rispetto all’infezione precedente.
Di solito una persona viene definita “guarita” quando non manifesta più i sintomi della malattia e risulta negativa a un test di controllo, tramite un tampone. Test di questo tipo sono piuttosto affidabili, ma può accadere che in alcune circostanze non diano un esito chiaro sull’effettiva scomparsa del coronavirus.
Tuttavia, c’è da dire che la memoria immunitaria pare sia tanto più efficace quanto più intensa è la risposta adattiva del sistema immunitario sulla minaccia. Alcune malattie si rivelano più sfuggenti e non comportano un’immunizzazione definitiva ma considerato che il nuovo coronavirus ha molto in comune con il virus responsabile della SARS, lascia ottimisti alcuni virologi sulla possibilità di sviluppare una memoria immunitaria per un tempo sufficiente da rendere utile il ricorso a un vaccino.