Si lavora per vivere o si vive per lavorare? Questo è il grande dilemma che spesso ci troviamo ad affrontare nelle nostre scelte quotidiane. Chissà, quante volte abbiamo ripetuto a noi stessi o a chi ci sta vicino questa frase con lo scopo di ricordarci che il lavoro è sì fondamentale, ma nella vita di tutti giorni c’è anche (ben) altro. Ma la questione non è solo filosofica. Il lavoro, infatti, così come la droga, l’alcol o il gioco d’azzardo, può creare dipendenza: un vero e proprio disturbo ossessivo - compulsivo che colpisce quelle persona troppo dedite al lavoro, che tendono a mettere in secondo piano la vita sociale e gli affetti più cari.
Questo comportamento patologico ha un nome ben preciso, workaholism che tradotto in italiano significa sindrome da ubriacatura da lavoro o stacanovismo. Si tratta di un termine coniato negli Stati Uniti d’America, nel 1971, dal medico - psicologo Wayne Edward Oates, usato nel libro Confessions of workaholics: the facts about work addiction.
Come capire se si è dipendenti dal lavoro
Per comprende se si soffre (o meno) di questa patologia, ecco le cinque caratteristiche tipiche del dipendente da lavoro:
- Tende a lavorare più a lungo dei colleghi. Gli affetti da workaholism sono in genere i primi ad arrivare in ufficio e gli ultimi ad andarsene, con tanto di ore suppletive di notte (specie se il lavoro si può portare a casa, riducendo così al minimo le ore di sonno). L’errore sta nel pensare che, in questo modo, c'è un alto tasso di produttività. In realtà, molti studi hanno dimostrato che le pause, il tempo libero e la cura di sé contribuiscono a una maggiore produttività che si raggiunge in un minor numero di ore lavorative.
- Non riesce a smettere di pensare al lavoro. Il workaholism non riguarda soltanto l'eccessivo tempo dedicato al lavoro ma anche l’incapacità di non pensare ad esso nei momenti di (apparente) inattività. Un esempio calzante è il seguente: un maniaco del lavoro, mentre gioca a calcetto con gli amici, sogna di essere in ufficio; un lavoratore sano, mentre lavora, sogna di essere con i propri amici in un campo di calcetto.
- Spesso non gode di ottima salute fisica. I dipendenti da lavoro hanno (ovviamente) un sacco di cattive abitudini che possono causare problemi di salute, anche gravi. Ad esempio, è evidente che non possa che fare male mangiare spesso il cosiddetto cibo spazzatura o, addirittura, saltare del tutto il pranzo e/o la cena. Inoltre, l'esercizio fisico è un miraggio, così come ogni altra attività rilassante, perché sprecano tempo. Un malato di lavoro, quindi, può soffrire di problemi gastrointestinali, mal di testa, emicrania, aumento o perdita di peso, irritabilità, stanchezza.
- Ha rapporti sociali inesistenti o conflittuali. Così come capita in ogni dipendenza, a soffrire non è soltanto il maniaco di lavoro ma anche chi gli sta accanto: soprattutto i familiari e gli amici intimi. Si tende, in relazione a ciò, a dimenticare (e quindi a festeggiare) importanti traguardi della vita, come anniversari e compleanni, perché chi soffre di workaholism ha più difficoltà a dire no al capo che alla famiglia o agli amici. Ed è ovvio che i problemi relazionali, in primis quelli coniugali, possono essere dietro l'angolo.
- È convinto che il proprio valore dipensa dal successo nel lavoro. Sì, perché un maniaco di lavoro è così perfezionista da essere continuamente insoddisfatto del proprio operato.
Il workaholism colpisce di più i liberi professionisti
Come si può facilmente intuire, questo disturbo colpisce soprattutto i liberi professionisti, più che i dipendenti; a differenza dei secondi, infatti, i primi svolgono attività lavorative non ancorate a tempi di lavori ben precisi. Artigiani, avvocati, commercialisti, manager, infatti, non devono timbrare alcun cartellino.
Per curare un malato da lavoro è importante, infine, che questi riconosca, in primis, di essere tale: così avvertirà l’esigenza di essere curato e di affidarsi a terapie personali o di gruppo (che possono coinvolgere anche il proprio nucleo familiare). La regola principale, quindi, è sempre la stessa: essere consapevole del male di cui si soffre, non commettendo l'errore di pensare che si possa guarire da soli, in quanto la sola volontà può non bastare per riappropriarsi di una vita normale e soprattutto sana.