Fra i fattori che condizionano la prognosi infausta delle neoplasie maligne, particolare importanza riveste la metastatizzazione, cioè il processo con il quale una neoplasia si impianta in sedi diverse dal focolaio primitivo attraverso il circolo vascolare. Il fegato per la sua elevata vascolarizzazione e per la sua struttura di “filtro”, è frequente sede di metastasi, soprattutto a partenza dalle neoplasie del tratto gastroenterico perché il sangue di tali organi arriva al fegato attraverso il sistema venoso portale, che vascolarizza appunto il fegato. Le metastasi possono essere singole o multiple, localizzate solo al fegato o ad altri organi (linfonodi, polmoni, …) e presentano dimensioni variabili tra i pochi millimetri fino ad interessare tutto il parenchima epatico e ad infiltrarne le strutture vascolari. La terapia delle metastasi epatiche varia in funzione del tumore primitivo, dal numero delle metastasi, dalla sede e delle condizioni generali del paziente.
Chirurgia: mentre il ruolo del trapianto di fegato è limitato ad alcune rare forme di metastasi da tumore neuroendocrino, la chirurgia resettiva epatica rimane l’opzione di scelta per il trattamento delle metastasi epatiche da colon-retto, con tassi di sopravvivenza a 5 anni dall'intervento superiore al 30%. Spesso tale opzione non è praticabile per le dimensioni, la sede o il numero delle localizzazioni secondarie, ma tali limitazioni sono state ridotte, effettuando la resezione in più tempi, sfruttando la peculiare caratteristica del fegato di rigenerarsi dopo la rimozione chirurgica di una sua parte sino a raggiungere nuovamente il suo volume originario. La resezione viene spesso effettuata sotto guida ecografica intra-operatoria, allo scopo di rilevare lesioni piccole, profonde e non palpabili. Nel caso di metastasi secondarie a tumori quali quello mammario, gastrico, ovario, il ruolo della chirurgia è più controverso, a causa della diversa storia naturale di queste neoplasie.
Chemioterapia: è applicata secodo schemi differenti in funzione del tipo di neoplasia primitiva ed è somministrata per via sistemica o con infusione diretta nell’arteria epatica attraverso particolari cateteri. La risposta ai trattamenti è in costante crescita ma appare a tutt’oggi ancora insoddisfacente e gravata da effetti indesiderati.
Trattamenti percutanei: l’alcolizzazione, la radiofrequenza e la laserterapia interstiziale sono trattamenti, ben tollerabili e gravati da scarse complicanze, effettuabili sia per via transaddominale ecoguidata che in sede intraoperatoria; devono essere riservati ai pazienti non suscettibili di terapia chirurgica resettiva con metastasi singola non superiore ai 4 cm o con non più di 3 metastasi di diametro In conclusione, poiché la sopravvivenza dei pazienti con metastasi epatiche è determinata sia dal numero che dall’estensione delle metastasi, è verosimile che una terapia multidisciplinare, sinergica ed integrata chirurgica, chemioterapica ed ablativa percutanea consenta di incrementare il numero delle lesioni trattabili e l’appropriatezza terapeutica per ciascuna di queste, inducendo in tale modo un aumento della sopravvivenza. E’ pressocché impossibile esprimere un giudizio prognostico nel caso particolare, senza poter valutare tutti gli aspetti del quadro clinico, quali stato di nutrizione, alterazioni degli esami di laboratorio, possibilità di intervenire terapeuticamente.