Caro nonno, la sua intuizione merita un plauso.
Prima però ho bisogno di fare una breve premessa; dicendo che la sindrome nefrotica è una delle più frequenti malattie renali in età pediatrica la cui valutazione e conseguente strategia terapeutica va attentamente pianificata con l’intervento dello specialista nefrologo; il quale ha competenza per identificare le singole sindromi e, di conseguenza, evitare trattamenti inutili o altamente invasivi, attraverso un percorso diagnostico attento. Evito però ulteriori considerazioni in quanto l’argomentazione medica esula dalla mia competenza.
Dal punto di vista psicologico vorrei fare un brevissimo cenno agli eventuali fattori psicologici in grado di influenzare la malattia e che, anche nella situazione di suo nipote, varrebbe la pena legittimare. Argomento che potrebbe essere approfondito nella prospettiva di una possibile e auspicabile collaborazione medico-psicologo; sapendo che parecchi sintomi fisici non riescono ad essere spiegati dal modello biomedico, né essere inquadrati nelle branche attuali della medicina interna.
Va collocato all’interno di questo quadro anche il comportamento (tosse) di suo nipote. Può quella tosse evidenziare un messaggio da parte del bambino? Secondo me, si.
La mia convinzione si basa su due ordini di fattori. Innanzitutto la relazione esistente tra bambino, genitori e personale medico; che sottintende una serie di tematiche importanti quali la fiducia, la sicurezza, l’accettazione della malattia e …. la speranza, cioè la percezione del beneficio delle cure.
Altro fattore importante e inaggirabile, è quello relativo alle problematiche psico-affettive che si trovano in relazione con la malattia.
Penso ad esempio al cambiamento dell’aspetto fisico del bambino (edemi, effetti secondari della cortisonizzazione, ecc.); senza dimenticare le interferenze sul comportamento (irritabilità, disturbi del sonno, ecc.) e tengo in adeguata considerazione l’ansia (rispettabile e legittima) trasmessa dai genitori.
Concludo dicendo che molto spesso, soprattutto nei casi di malattie croniche, incombe anche il rischio di identificare il paziente con la malattia, dimenticando così la persona (il bambino) e le sue necessità di carattere animico e spirituale.
Giustamente, il nipotino si guarda intorno e attraverso una sua personale modalità espressiva (la tosse in questo caso potrebbe rappresentare anche un gesto collerico) richiama l’attenzione sulla dignità e liceità di essere al centro dell’attenzione.