Il costante flusso di informazioni che pervengono e fuoriescono dalla sfera personale di un individuo richiede adeguate forme di tutela capaci di ridurre al minimo i rischi di dispersione dei dati personali e, conseguentemente, il verificarsi di un danno. Nonostante la maturata consapevolezza delle potenzialità lesive dell’illecito trattamento di dati personali realizzata attraverso l’utilizzo di strumenti informatici, il legislatore italiano, benché avesse aderito sin dal 1981 alla Convenzione di Strasburgo a tal uopo predisposta, ha introdotto nel nostro ordinamento adeguata tutela solo con il recepimento della Direttiva comunitaria 46/95/CE realizzato mediante la legge 31 dicembre 1996 n. 675, da ultimo modificata dal d. lgs. n. 467/01. La citata legge costituisce l’impianto normativo di riferimento anche per la tutela dei dati personali riguardanti soggetti sottoposti a trattamenti medici, soprattutto in considerazione del crescente sviluppo della cd. telemedicina. Oltre al dato prettamente normativo va comunque rimarcato che adeguata forma di tutela apprestata in favore del paziente proviene anche dal Codice di deontologia medica (come da ultimo modificato nel 1998). Il riferimento è, in particolare, all’art. 9, titolato “Segreto professionale”. E’ appena il caso di osservare che la rivelazione del segreto professionale è punita, ex art. 622 c.p., su querela della persona offesa, con la reclusione sino ad un anno ovvero con la multa da sessantamila ad un milione delle vecchie lire.