Si procede con un intervento di angioplastica per liberare l' arteria dall' ostruzione. Dopo aver effettuato l’anestesia locale a livello dell’inguine, viene introdotto nell’arteria femorale un tubicino (introduttore) di calibro adeguato a contenere i vari cateteri utilizzabili per la coronarografia prima e per l’angioplastica dopo. Vengono introdotti, sempre in anestesia locale, i cosiddetti "cateteri a palloncino" capaci di tollerare una pressione di gonfiaggio fino a 20 atmosfere, che consente loro di raggiungere, una volta completamente gonfi, un diametro variabile da 2 a 4 mm in base al diametro del vaso normale. Questi cateteri, grazie ad una guida metallica di calibro estremamente ridotto, vengono fatti procedere all’interno delle coronarie fino a raggiungere il restringimento che occlude totalmente o parzialmente il vaso: a questo punto il palloncino viene gonfiato "modellando" e "frantumando" la placca aterosclerotica e restituendo in questo modo un adeguato diametro al vaso.
È possibile oggi applicare nel lume del vaso un particolare supporto metallico denominato "STENT", che consente di ridurre l’incidenza della restenosi se utilizzato nel corso della prima procedura di angioplastica oppure di trattare con elevata percentuale di successo la lesione riformatasi nei sei mesi successivi alla PTCA. Dopo la procedura è opportuna una degenza di 12/24 ore in unità coronarica, mantenendo gli introduttori in vena ed arteria femorale per essere pronti a reintervenire in caso di occlusione acuta del vaso dilatato. Tale rischio è comunque molto basso.
Sperando di esser stata esaustiva,
Saluti