Il lutto come giustamente lei descrive coinvolge tutta la persona nei suoi aspetti emotivi, per tanti motivi, tra i quali il fatto generale che ci mette nella condizione di doverci confrontare con la precarietà e con il fatto particolare che ci mette nella condizione di confrontarci con la perdita di una persona molto specifica. La morte di una persona cara collassa la personale prevedibilità del mondo e crea un cratere tra il desiderato/immaginato e la realtà dei fatti. Per questo motivo ed altri simili, quando si parla di elaborazione del lutto si parla di un lavoro interiore dal quale una persona esce inevitabilmente diversa e dove la razionalità non funziona più come bussola di orientamento. Il lavoro del lutto richiede fatica, dolore, sofferenza, ma soprattutto ad un certo punto inevitabilmente accettazione. Il tempo di per sè non è una variabile attiva ed aspettare che il dolore passi qualche volta può non essere sufficiente; il tempo è semplicemente un contenitore di cose che è possibile fare attivamente, tra le quali ha altrettanto valore anche il non fare, cioè lo stare nel dolore del lutto. Non credo si possa pensare al lutto in termini prototipici, nel senso...... un lavoro del lutto sta andando per il verso giusto perchè persegue determinate fasi a differenza di un altro; le variabili individuali ed emozionali in gioco sono troppe per poter dire questo è giusto e questo è sbagliato. La certezza è che la perdita di una persona cara fa star male e talvolta può essere utile ritagliarsi uno spazio ad hoc per permettersi semplicemente di stare male: in questo senso parlare con una persona "rispecchiante" (ad esempio psicologo, ma non solo e non necessariamente) può dare al lavoro del lutto, che lei già sta portando attivamente e più che degnamente avanti, una direzionalità di senso emotivo, che corrisponde principalmente con il dare senso al suo vissuto emotivo di questo momento.
auguri
mauro