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Il valore dell'esperienza nell'agire quotidiano

Il valore dell'esperienza nell'agire quotidiano

Che cosa significa avere esperienza di una situazione? Quali meccanismi la governano?

Non esiste un’esperienza unica e condivisibile. L’intervista alla Prof.ssa Grazia Aloi, Specialista in Psicologia e Psicoterapia e Sessuologia.

Prof. ssa Aloi, quali sono i meccanismi che sottendono l'esperienza personale?

Credo sia importante osservare almeno due elementi. Il primo riguarda l'aspetto, per così dire, 'procedurale' e l'altro - decisamente più importante - il filo rosso che lega il nostro sapere 'le' cose e sapere 'delle' cose: l'aspetto 'procedurale' ci fa appunto dire con disinvoltura che conosciamo, sappiamo e abbiamo esperienza come se fosse solo una scelta di linguaggio comune e invece così non è, in quanto differenti sono i meccanismi emotivi soggettivi che passano attraverso l'apprendimento del conoscere, del sapere e dell'esperire; è molto più importante osservare se e come l'emozione - il filo rosso - ci coinvolga e ci determini nel pensare, nel dire e nell'agire.

Fatta questa premessa, faccio un esempio: chissà quante volte abbiamo preso il raffreddore da raffreddamento - si sa bene che esporsi al freddo o a correnti d'aria o restare con i capelli bagnati può comportare un bel raffreddore, eppure.... Che cos'è che trattiene dal non comportarsi in maniera consequenziale? La sbadataggine sicuramente, ma c'è di più: la trascuratezza dei capisaldi di un 'onesto' vivere con se stessi. Tra 'Sapere' e 'Conoscere' c'è di mezzo l'Esperienza, ma non è ancora sufficiente perché manca un pezzo.
Ecco un altro esempio: si può sapere che cosa significa mangiare, si può conoscere (anzi, si conosce) l'atto del mangiare ma si può non avere l'Esperienza del mangiare, ossia è possibile non avere il contatto emotivo, il significato soggettivo del mangiare. Ciò che mangiare (e i suoi correlati) significa soggettivamente attraverso l'emozione.

Si pensa alla 'cosa' (raffreddore, cibo...) per il suo 'nome' e si agisce per quello che 'è', senza trasformare quella cosa pensata in significato soggettivo. La capacità di pensare e di agire attraverso, con, l'emozione rende significativa per se stessi la determinata azione. Sembrerà un'ambizione mentale forse superflua, ma tant'è: senza la trasformazione in 'qualcosa di pensabile per noi' non ci potrà essere la 'padronanza' dei significati.

Si pensi all'esperienza della gravidanza. Ogni donna che l'abbia vissuta ne conosce le caratteristiche ma c'è una donna con un vissuto almeno simile a quello di un'altra donna? Assolutamente no, perché il significato dell'esperienza-gravidanza è tra i più intimi e intoccabili mai esistiti. Ciò che una gestante vive con il suo bambino nel grembo è unico e non potrà mai essere appieno conosciuto da nessuna teoria psicologica o da nessuna mente, sia pure teneramente e benevolmente indirizzati.

È importante non disperdere il tempo dell'esperienza delle emozioni.

Sono le emozioni che ci fanno effettivamente dire che 'conosciamo', altrimenti saremo con- (qualcuno o qualcosa) senza com- prendere. Occorre, naturalmente, che qualcuno ci abbia insegnato a rendere pensabili le 'cose' e questo fa tanta differenza tra la sopportazione della frustrazione del significato emotivo e la sottomissioni ad esperienze non emotivamente esperite. Sopportazione della frustrazione sia perché ciò che è per noi non è ciò che è per tutti e, sebbene esista la condivisione, c'è differenza tra le emozioni soggettive legate all'agire comune, e sia perché si perde - di conseguenza - l'oggettività (l'intelligibilità) della cosa stessa.

Dunque è sbagliato dire che esiste un'esperienza comune?

Penso di sì, penso che normalmente non ci possa essere condivisione dell'esperienza - se essa è legata alla trasformazione della cosa a se stante in cosa per se stessi e se essa è legata al 'ritorno' psichico unico ed irripetibile come quello individuale. C'è condivisione dei sentimenti legati all'esperienza della conoscenza: si pensi alle tragedie, alla pena, al Dolore e alle sofferenze fisiche e morali, così come pure si pensi alle contentezze generali per le grandi scoperte, ma la descrizione e la condivisione non possono che essere solamente nelle parole, per cui 'si conosce la cosa', si è empatici con l'altro - ma mai si saprà il vero, unico e psicologico significato della stessa esperienza.

E, a mio parere, questa consapevolezza aggiunge - e certo non toglie - alla condivisione empatica. Perché si sa che ciò che si coglie e si conosce non è totale, manca quel pezzo di non-conoscibilità, di misterioso che è in ognuno di noi, mai svelabile (a volte neppure a noi stessi). E quindi, siamo sempre in debito con la conoscenza dell'esperienza emotiva.

Che fondamento ha il detto secondo cui 'l'esperienza è Maestra di vita'?

Questa risposta è molto difficile da dare, perché ogni emozione legata alla ripresentazione di una situazione simile non è mai uguale alla precedente. Credo che ogni giorno occorra inventarsi ed essere aperti alla conoscenza-esperienza attraverso la memoria di quanto già avvenuto e la consapevolezza che ogni azione comporta una reazione, spinti dal senso di conservazione e dal senso di rispetto e preferenza per tutto ciò che non arreca danno.

Ultimo aggiornamento: 26 Giugno 2015
5 minuti di lettura

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