Cresce l’esercito dei
Il dato è stato presentato nelle scorse settimane da Leonardo Pinelli, vicepresidente della Società Scientifica di Nutrizione Vegetariana. Questa la situazione in Italia: a scegliere la dieta vegetariana sono soprattutto le donne (72,% contro 5,3% degli uomini) e tra le fila dei vegetariani si contano anche numerosi giovanissimi (il 13,5% ha un’età compresa tra i 18 e i 24 anni).
I perché di una scelta così radicale sono di diversa natura. Per quasi la metà dei vegetariani una dieta senza carne fa bene alla salute e non è una teoria senza fondamento. Sono sempre più numerose le ricerche scientifiche che confermano che consumare meno carne rossa a vantaggio di frutta e verdura possa ridurre il rischio di sviluppare alcune malattie.
Risale a pochi mesi fa uno studio della ong britannica World Cancer Research Fund che ha rivelato come la metà dei tumori all’intestino si potrebbe evitare semplicemente limitando a 500 grammi alla settimana il consumo di carne rossa. La ricerca ha riesaminato 24 studi condotti in materia e ha confermato che il 43% dei casi di tumore all’intestino sarebbero collegati direttamente ad una scorretta Alimentazione.
Ma i motivi che spingono ad eliminare la carne non sono legati solo ai rischi per la salute. Un cospicuo 44% dei vegetariani ha scelto di fare a meno della carne soprattutto per un’ideologia animalista. E gli altri?
Accanto a queste due motivazioni cresce chi è convinto che mangiare meno carne si traduca in un minore inquinamento. Un’alimentazione che privilegia i prodotti offerti dalla natura sarebbe più ecosostenibile e avrebbe un minore impatto ambientale. Anche questa teoria trova largo consenso negli studi più recenti.
Uno studio pubblicato su World Watch magazine e firmato dagli studiosi nordamericani Robert Goodland e Jeff Anhang ha posto l’accento proprio sull’impatto ambientale degli allevamenti di bestiame: quasi la metà dei gas serra prodotti dall’uomo viene emessa dagli allevamenti industriali di bestiame per complessivi 32,6 miliardi di tonnellate di biossido di carbonio prodotti ogni anno.
Alle stesse conclusioni è giunto anche uno studio di Cristopher Weber dell’Università Carnegie Mellon dal quale è emerso che il trasposto del bestiame e dei prodotti incide sulle emissioni di gas serra solo per l’11%, mentre produzione agricola o industriale incidono per l’83%.
I dati sono il risultato di un’analisi che ha tenuto conto della produzione di gas serra a carico degli allevamenti, ma anche del metano prodotto dal Metabolismo degli animali e dagli ossidi di azoto rilasciati dai fertilizzanti utilizzati per la produzione dei foraggi.