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Disabilità e sessualità: la sfida della conciliazione

Disabilità e sessualità: la sfida della conciliazione

È più che mai aperto il dibattito sul diritto alla sessualità delle persone disabili e sull'introduzione dell'assistente sessuale.

Max Ulivieri ha 35 anni ed è affetto da una grave forma di disabilità che non spegne, però, il desiderio sessuale né il desiderio di provare l’emozione che deriva da una carezza o da un abbraccio.

Sposato e con una vita sentimentale gratificante, Max ha deciso di dar voce a quanti non hanno avuto la sua stessa fortuna e per difendere il diritto delle persone disabili a non reprimere il proprio desiderio sessuale si è fatto promotore di una petizione online per istituire anche in Italia la figura dell’assistente sessuale.

La proposta ha già raccolto migliaia di firme, per lo più di persone senza alcun handicap. Ma cos’è l’assistente sessuale? Diffuso da molti anni negli Stati Uniti, in Svizzera, Danimarca, Olanda (dove i servizi sono anche coperti dal Servizio Sanitario Nazionale) e in Belgio, l’assistente sessuale è un professionista di orientamenti sessuali diversi e di entrambi i sessi che aiuta persone affette da varie forme di disabilità a sperimentare l’erotismo e la sessualità per riuscire a non vivere il proprio corpo solo come un handicap o un peso, ma anche come fonte di piacere e benessere.

Ad amplificare l’attenzione internazionale sulle figure degli assistenti sessuali è stato anche il film The Session, recentemente uscito nelle sale cinematografiche, che racconta la storia di una professionista che si dedica ad aiutare un giovane disabile ad intraprendere un percorso di educazione sentimentale e sessuale per riscoprire la propria dimensione sessuale ed affettiva.

L’introduzione dell’assistente sessuale in Italia sembra essere estremamente lontana. Il sesso resta ancora un argomento tabù quando si parla di disabilità e spesso tutto si risolve con il ricorso ad una prostituta. Ma in Francia qualcosa si muove. Proprio qualche giorno fa in un dipartimento nei pressi di Parigi è stata annunciata la creazione di un tavolo di riflessione sulla vita affettiva delle persone disabili.

Ultimo aggiornamento: 06 Giugno 2015
2 minuti di lettura
Commento del medico
Dr.ssa Simona D'Arcangeli
Dr.ssa Simona D'Arcangeli
Specialista in Psicologia e Psicoterapia

Il film 'The session' nasce dal documentario 'Breathing Lessons: The Life and Work of Mark O’Brien' di Jessica Yu vincitore nel 1996 del premio Oscar. In esso il protagonista, il giornalista e poeta americano Mark O’Brien, racconta di sè e della sua vita dal suo punto di vista: un polmone d’acciaio nel quale è costretto a vivere sin da quando, durante l’infanzia, ha contratto la polio.

Per Mark esistono “due miti circa la disabilità: o non siamo in grado di fare nulla ...o siamo in grado di fare tutto, ma la verità è che siamo solo umani”. Nell’immaginario collettivo. quando si parla di disabilità (cappello di per sè già abbastanza vasto che racchiude situazioni però molto diverse e variegate per tipologia e grado) le figure che emergono per prime rispetto alla sfondo sono le cosiddette 'mancanze' della persona.

Un rasoio di Occam che conduce ad eliminare le ipotesi più complicate a favore di altre più semplici e immediate. Se il focus dell’attenzione sono le disabilità, le azioni che ne conseguiranno saranno la programmazione e costruzione dei servizi ad esse associate. Il rischio di questo modus operandi però è quello di perdere di vista l''interezza' della persona.

La realtà degli assistenti sessuali descritta nel film 'The session', poco conosciuta in Italia a dispetto di altri paesi, non si limita ad uno sfogo sessuale ma si propone di 'facilitare' l’accesso dell’individuo disabile ad una vita sessuale e di coppia altrimenti negata ed esclusa.

Riconoscere i bisogni di intimità, affettività, sessualità presenti nella disabilità assume il significato di 'comprensione' di quelle ipotesi ritenute 'complicate' e scartate a monte. Un processo a ritroso, necessario però se il nostro intento è quello d’intraprendere l’impervio e mai facile percorso che porta ad identificare la salute come 'dimensione positiva' e non più come una semplice 'assenza' (OMS, 1948) e a riconoscere il diritto a 'stare bene' come universale.

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