- Lei concorda con le cifre che le ho detto poco fa sulla diffusione dell’epatite B?
- Perché vaccinare gli adolescenti soltanto e non tutti se l’infezione cronica può avere conseguenze così gravi?
- Questo screening è complicato da realizzare? Cosa bisogna fare?
- Quali sono i fattori di rischio di trasmissione dell’epatite B? Si possono facilmente identificare?
- Le trasfusioni di sangue sono oggi sicure?
- E la tossicodipendenza?
- Anche vivere in una casa con un portatore di epatite B è pericoloso?
- La vaccinazione contro l’epatite B è sicura?
- Quanto dura la immunizzazione? Bisogna fare i cosiddetti ‘richiami’?
- Una volta che la persona si è infettata, cosa accade? Si può curare?
- È vero che alcuni dei farmaci più utilizzati spesso, mentre sembra che abbiano risolto il problema, non agiscono più perché perdono efficacia?
- Quindi per il futuro ci sono buone speranze?
Lei concorda con le cifre che le ho detto poco fa sulla diffusione dell’epatite B?
Certamente. L’infezione da virus dell’epatite B ha una diffusione enorme ed è un problema che la globalizzazione e le correnti migratorie da Est verso Ovest hanno acuito in modo significativo. Appare chiaro che la misura di una vaccinazione universale dei neonati che, va detto, l’Italia ha assunto per prima nel mondo, è stata una misura provvidenziale, seguita poi da tutti gli altri Paesi dell’Occidente. In Italia la vaccinazione anti-epatite B è obbligatoria (Legge 165 del 27 maggio 1991) per tutti i nuovi nati nel primo anno di vita e per tutti gli adolescenti nel corso del 12° anno di vita (limitatamente ai 12 anni successivi all'entrata in vigore della legge). Noi assistiamo oggi ad una situazione sicuramente in evoluzione, anche perché, soprattutto nel Sud, è ragionevole supporre che, coloro che hanno evaso l’obbligo scolastico hanno anche “evaso” la vaccinazione contro l’epatite B quando, nella fase iniziale, giustamente si decise di vaccinare gli adolescenti nelle scuole, oltre a tutti i neonati. È necessario, comunque, non abbassare mai la guardia.
Perché vaccinare gli adolescenti soltanto e non tutti se l’infezione cronica può avere conseguenze così gravi?
Il motivo è dato dal fatto che se ci infetta alla nascita o nei primi anni di vita, l'infezione cronicizza nella quasi totalità dei casi con conseguenze che possono essere anche gravi nel corso degli anni. Stessa sorte, sia pure con percentuali via via inferiori con il progredire dell’età, tocca ai giovani. Nell’adulto la situazione è differente perché l’infezione può dare luogo ad un’epatite acuta, talvolta anche ad andamento fulminante, ma induce forme croniche solo in una bassa percentuale di casi. Per questa ragione in Italia è obbligatorio per legge lo screening per l’epatite B di tutte le gravide nel corso del 3° trimestre di gestazione. In tal modo si identificano subito le madri potenzialmente infettanti e si effettua la profilassi completa del neonato. Uno screening di massa è inutile, basta mirare sulle popolazioni a rischio.
Questo screening è complicato da realizzare? Cosa bisogna fare?
È uno screening semplicissimo: si esegue un prelievo si sangue sul quale si effettua la ricerca del marcatore dell’epatite B (HBsAg). Analisi semplice, non costosa e che tutti i laboratori eseguono. Ed è quello che si fa nelle gravide entro il terzo trimestre.
Quali sono i fattori di rischio di trasmissione dell’epatite B? Si possono facilmente identificare?
Su questo argomento non c’è alcun dubbio. Oggi, essendosi ridotta una delle vie di trasmissione più frequente – cioè quella dalla madre al neonato – la via più consueta attraverso la quale si trasmette il virus è quella sessuale. Molti ritengono che siano prevalentemente i rapporti omosessuali tra maschi ad essere particolarmente a rischio, ma ciò non è vero. Anche i rapporti eterosessuali non protetti sono a rischio e, soprattutto, il frequente cambio di partners sessuali se questi sono portatori di infezione da virus. La prostituzione, soprattutto giovanile, è un grave problema per la trasmissione dell’epatite B, se non ci si protegge.
Le trasfusioni di sangue sono oggi sicure?
Credo che non si possa più parlare di forme post-trasfusionali, che sono rarissime con i sistemi di indagini oggi esistenti presso i Centri Trasfusionali. Il rischio di infezione oggi è di circa 15 casi per milione di Unità di sangue trasfuse (sangue proveniente da un donatore in fase di finestra sierologica, cioè negativo per HBsAg ma positivo per HBV-DNA). È dunque un evento raro. Ma anche altre forme di esposizione possono ancora giocare un ruolo rilevante come, ad esempio, i pazienti in emodialisi, persone sottoposte a procedure diagnostiche invasive (biopsie, ad esempio) oppure procedure chirurgiche (soprattutto chirurgia minore, chirurgia ginecologica, addominale ed orale); esposizioni ospedaliere professionali (operatori sanitari).
E la tossicodipendenza?
Se si condividono aghi e siringhe con portatori del virus, questa via è molto efficiente. Ma non dimentichiamo, e le cronache dei giornali ogni tanto ci mostrano casi del genere, i tatuaggi effettuati in condizioni igieniche precarie, i piercing e tutte quelle pratiche invasive estetiche effettuate in maniera per così dire “sporca”. È opportuno essere molto vigili su questi aspetti.
Anche vivere in una casa con un portatore di epatite B è pericoloso?
Certo, ma in questi casi il problema non si pone perché questo è il caso nel quale è opportuno che anche gli adulti si vaccinino a causa della concentrazione del rischio: basta vaccinare il soggetto e lo si protegge del tutto dalla eventualità di infettarsi.
La vaccinazione contro l’epatite B è sicura?
Intanto il vaccino oggi non è più ricavato dal sangue dei portatori di infezione da virus B. Il vaccino è costruito in laboratorio utilizzando tecnologie di biologia molecolare che consentono la realizzazione di un prodotto sicuro, efficace, economico, con siero conversione (produzione dell’anticorpo proteggente) superiore al 95% in bambini e adulti. Con reazioni scarse e per lo più locali. Le reazioni generalizzate e le complicanze soprattutto neurologiche sono rarissime in confronto al numero di soggetti vaccinati. Ma questa è l’unica strategia per proteggere le persone libere dalla infezione e, più in generale, proteggere la collettività dalla diffusione delle malattie infettive. Esiste anche una immunoprofilassi passiva, per distinguerla dalla attiva che è data dalla vaccinazione. La differenza sta nel fatto che nella profilassi passiva, si somministrano anticorpi anti-epatite B già formati, in modo da offrire subito una protezione e consentire, come si fa nei neonati da madre HBsAg positive, all’organismo di avere tempo sufficiente per produrre i propri anticorpi mediante la vaccinazione. È la modalità che viene definita come ‘profilassi passiva’ ed ‘attiva’ che si può attuare immediatamente in tutti quei soggetti che hanno subito una esposizione particolarmente a rischio.
Quanto dura la immunizzazione? Bisogna fare i cosiddetti ‘richiami’?
La vaccinazione per l’epatite B dura in realtà per sempre. Oggi non si consiglia più di effettuare una dose di richiamo a cinque anni poiché vari studi, ed alcuni di essi sono merito degli italiani, hanno dimostrato che la immunità permane e, in caso di necessità, gli anticorpi riemergono.
Una volta che la persona si è infettata, cosa accade? Si può curare?
Oggi le terapie sono molto migliorate e ce ne sono anche molte. Per questa ragione è diventato molto più difficile curare l’epatite B cronica. È chiaro che l’obiettivo principale è abbattere la moltiplicazione del virus che, nel tempo, potrebbe portare ad un danno irreversibile. Tuttavia è prudente curarsi presso Centri specializzati: in Italia ce ne sono molti, internazionalmente riconosciuti, capaci di gestire bene questi pazienti.
È vero che alcuni dei farmaci più utilizzati spesso, mentre sembra che abbiano risolto il problema, non agiscono più perché perdono efficacia?
Questo può accadere per i cosiddetti ‘analoghi nucleosidici e nucleotidici’, i quali hanno un’azione diretta sul virus e possono causare una mutazione del virus. Per fare un esempio banale, noi dobbiamo considerare il virus come un essere umano, il quale se viene aggredito cerca di mimetizzarsi per scappare all’attacco del nemico. Ovviamente questa rappresentazione è molto semplicistica, ma è quello che in realtà accade. Il fenomeno della mutazione del virus è in realtà molto più complessa, ma questo concetto deve spingere i pazienti ad essere molto vigili e seguire attentamente le indicazioni del Centro specialistico che lo segue, soprattutto se la malattia di fondo è seria. È chiaro che, quando è possibile, il primo approccio va fatto con l’interferone peghilato. Si tratta di un farmaco che non offre risultati eclatanti, ma può anche portare, in un limitato numero di casi, alla eliminazione del virus. Tuttavia la materia è così complessa che è bene non generalizzare, anche perché la terapia, come tutte le terapie, va personalizza su quel determinato soggetto e ciò che va bene per uno potrebbe non andar bene per un altro. Il problema va studiato caso per caso.
Quindi per il futuro ci sono buone speranze?
Non c’è dubbio. Nei casi dove tale terapia è necessaria abbiamo, da un lato, l’interferone che – ribadisco – se le condizioni della malattia lo consentono, rappresenta la prima scelta. In caso contrario, credo che tra i farmaci attualmente in commercio, la prima scelta possa essere l’entecavir. Ma ripeto ancora una volta, non è possibile generalizzare; la scelta della terapia dell’epatite cronica B è estremamente complessa che deve essere gestita da persone che operano in Centri dove questi malati sono attentamente seguiti. Allo stato attuale non esiste una terapia che va bene per tutti.