Nell’elenco dei neologismi del 2013 trova ampio spazio il termine selfie, un modo più innovativo e cool di definire il classico autoscatto. Con il diffondersi di smartphone dotati di videocamera e
E oltre a soddisfare il proprio bisogno narcisistico i selfie possono essere anche un indicatore del proprio benessere psicologico. Non è una novità infatti che le fotografie possano essere utilizzate in ambito terapeutico. Generalmente nella fototerapia vengono utilizzate foto scattate dal paziente, foto del paziente scattate da altri (in modo da vedere come si è visti dall’esterno), e anche gli autoritratti.
Come spiega Judy Weiser, tra i principali esperti di Fototerapia, il selfie consente di avere un quadro di una persona quando questa sa di non essere vista da nessun altro. Inoltre, proprio grazie all’autoritratto, i pazienti possono stabilire una sorta di dialogo con se stessi, favorendo un processo di elaborazione delle emozioni e del proprio vissuto anche molto profondo. Ma attenzione: non sempre il selfie riproduce noi stessi.
James Kilner, neuroscienziato dell’University College di Londra spiega che i selfie celano un’alterata percezione della realtà e questo perché ci manca una vera conoscenza delle nostre espressioni facciali. Insomma, siamo più allenati a riconoscere le espressioni del volto degli altri invece che le nostre.
Il risultato è che di fronte ad una sequenza di autoritratti che sembrano tutti simili, un individuo difficilmente riuscirà a distinguere le foto che sono state ritoccate da quelle autentiche. Ciò perché abbiamo una percezione alterata di noi stessi. E il risultato si vede anche quando condividiamo un autoritratto sui social network: facciamo una selezione tra varie foto, scegliamo quella che ci sembra migliore, quella che ci rende più attraenti e interessanti, ma alla fine non è detto che anche gli altri la giudichino così interessante.
E i selfie possono anche essere un chiaro indicatore di una crescente