L’appello degli esperti: massimo coinvolgimento delle donne negli studi clinici e maggiore capacità di interpretare i 'sintomi atipici'.
Farmaci, analisi cliniche, terapie: la medicina è declinata 'al maschile' e spesso non tiene conto delle enormi differenze che esistono tra uomo e donna e che possono essere determinanti nell’insorgenza di una malattia, nel manifestarsi dei sintomi e negli effetti che i farmaci hanno sull’organismo.
Se n’è parlato in occasione del recente Festival della Scienza, al quale ha preso parte anche Marianne Legato, fondatrice della Partnership for Gender-Specific Medicine alla Columbia University e una delle massime esperte internazionali di 'medicina di genere', quell’approccio che tiene conto soprattutto delle differenze che esistono tra un organismo femminile e uno maschile.
Gli studi di genere hanno una vita relativamente recente. La questione venne sollevata per la prima volta nel 1991, quando la direttrice dell’Istituto Nazionale di Salute statunitense, Bernardine Healy, denunciò sul New England Medical Journal la discriminazione che i cardiologi perpetravano regolarmente ai danni delle donne.
Solo nel 2002 (ben 11 anni dopo) venne istituito il primo corso di medicina di genere alla Columbia University di New York per analizzare come la stessa patologia sortisse manifestazioni e reazioni differenti su uomini e donne.
Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha sancito che il concetto di equità in medicina si associa alla capacità di curare l’individuo in quanto 'essere specifico' e appartenente ad un genere con caratteristiche definite.
L’urgenza di promuovere una medicina di genere è emersa soprattutto alla luce del fatto che le aziende farmaceutiche raramente testano i farmaci sulle donne: perché le donne sono troppo impegnate, e sono quindi più difficili da arruolare negli studi clinici, e perché le variazioni ormonali femminili possono rappresentare un ostacolo nello studio sui farmaci da analizzare.
L’errore di fondo è stato pensare che studiare le reazioni dei farmaci sugli uomini potesse ‘bastare’ per curare anche le donne. Le differenze sono, invece, molteplici: le donne vivono di più, ma si ammalano anche con maggiore frequenza e, proprio per gli stessi motivi per cui spesso sono state in passato escluse dagli studi clinici (aspetti legati alla riproduzione e agli ormoni), necessitano di farmaci appositi.
Tra le malattie che colpiscono prevalentemente le donne ci sono le allergie, il diabete, le malattie cardiache e l’osteoporosi. Ed è soprattutto per le malattie cardiovascolari e per quelle psicologiche che è importante distinguere tra i due generi.
A dispetto di quanto si creda comunemente, infatti, dati recenti dimostrano che le malattie cardiovascolari hanno una fortissima Incidenza e sono particolarmente pericolose per le donne: la cardiopatia ischemica è la prima causa di morte e uccide 4 volte di più di Cancro al seno, cancro ai polmoni, incidenti e bronco-pneumopatia cronica messi insieme.
Le donne con problemi cardiovascolari hanno un rischio di morire per un evento cardiaco superiore del 13% e questo perché spesso vengono sottovalutati i sintomi infarto in atto. In altre parole, nelle donne alcuni disturbi possono presentarsi con dei sintomi considerati 'atipici' che quindi vengono sottovalutati.
Un dolore al petto o al BRACCIO, ad esempio, è il principale sintomo di un’angina pectoris negli uomini, ma non nelle donne, che manifestano molto più frequentemente vomito, spossatezza e sudori freddi.
La capacità di saper interpretare i sintomi di gravi patologie declinati 'al femminile' resta, insomma, una delle grandi sfide del futuro, perché se è vero che le donne vivono più a lungo, è altresì vero che esse sono meno propense a sottoporsi a visite di controllo e alcune malattie possono presentarsi, nelle donne, in maniera davvero subdola.