L’argomento è sicuramente interessante o addirittura affascinante, e si colloca all’interno di una vasta serie di procedure cosiddette 'alternative', finalizzate al miglioramento della qualità della vita, inteso sia come benessere sia come guarigione.
L’alternatività si riferisce ovviamente all’assunzione dei farmaci, che vengono giustamente o ingiustamente ritenuti 'dannosi', possedendo accanto ad effetti indubbiamente benefici anche conseguenze negative, il cui peso talora sovrasta quello dei vantaggi.
Di fronte al 'pericolo' dei farmaci nasce quindi l’interesse per la musico-terapia, l’arte-terapia, la cromo-terapia, per arrivare alle pratiche tipiche della medicina orientale quali il tai chi o il qigong.
Tutte queste procedure possiedono realmente efficacia terapeutica, e se sì in quali indicazioni?
Difficile rispondere ad una domanda simile. Per limitarci alla sola musico-terapia sappiamo per esperienza diretta che ascoltare una musica particolarmente rilassante (ad esempio la musica 'New Age') ci aiuta a stare meglio, prevalentemente in senso psicologico.
L’umore viene modificato in senso positivo dall’ascolto di una musica gradita, così come viene disturbato dai semplici rumori, tanto più se sgradevoli; dal momento che l’umore è una componente fondamentale di un essere umano, non c’è da stupirsi se sia in grado di influenzare anche alcuni processi fisici.
Sia chiaro che non tutta la musica ottiene questi risultati, ma gli studi fatti (prevalentemente di tipo osservazionale e quindi con grosse limitazioni metodologiche) pongono l’accento sull’efficacia di una musica 'gradita' all’ascoltatore; e quindi la terapia dipenderebbe in massima parte dal substrato culturale e sociale del soggetto che ascolta: uno studio (ottobre 2010) pubblicato sull’International Journal of Palliative Nursing ha dimostrato che in Tanzania l’ascolto di musica cantata corale tradizionale (il tipo di musica che si ascolta prevalentemente in quello Stato) migliora gli outcome nei pazienti neoplastici terminali in terapia palliativa, mentre un altro studio pubblicato nel settembre 2010 sul Pain Management Nursing ha dimostrato un miglioramento delle crisi dolorose in pazienti dementi.
Gli studi di tipo osservazionale sono criticabili per molti aspetti, ma indubbiamente il loro numero aumenta in continuazione, parallelamente all’interesse crescente delle popolazioni occidentali per queste tecniche 'alternative'.
Non si tratta certo di scoperte sconvolgenti: in molte stalle modello viene diffusa musica classica per migliorare la produzione di latte, e sarebbe stolto non ammettere che la musica, come d’altro canto anche il tempo meteorologico, sia in grado di influenzare lo stato d’animo.
Il dolore, poi, è una sensazione che viene trasmessa al sistema nervoso centrale, ed a volte nasce direttamente al suo interno (si pensi al terribile dolore talamico). Ma il sistema nervoso centrale, con l’ippocampo, è anche la sede dei sentimenti e dello stato d’animo di un essere umano: è quindi ovvio che tutto quanto interferisca positivamente con le emozioni ed i sentimenti sia in grado di ridurre la percezione dolorosa (la medicina scientifica si sta occupando, ad esempio, dell’uso dei derivati della cannabis proprio in questa indicazioni particolare).
Se una sinfonia di Mozart o un canto Zulu o un brano del teatro del No riescono a diminuire il dolore di un europeo o di un africano o di un giapponese, ben venga l’utilizzo di un metodo non tradizionale: lo scopo della medicina è quello di alleviare le sofferenze, e l’armamentario del terapeuta può e deve arricchirsi di ogni mezzo lecito per ottenerlo. L’unica, grossa pecca è data dal fatto che gli studi in doppio cieco randomizzato (gli unici ad avere validità scientifica inoppugnabile) su questo specifico argomento siano molto scarsi.
Ma questo è il destino di quasi tutte le pratiche alternative.