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Nuovi esami del sangue per la diagnosi prenatale

Nuovi esami del sangue per la diagnosi prenatale

I nuovi test del sangue analizzano il Dna fetale e promettono esami meno invasivi. Come funzionano e quali sono i rischi?

Mettere a punto esami poco invasivi che permettano, sin dalle prime settimane di gestazione, di individuare con certezza alcune delle principali anomalie cromosomiche è una delle grandi sfide della medicina prenatale. E negli ultimi anni si sono diffuse tecniche sempre più sofisticate che mirano ad analizzare il Dna fetale che circola nel Sangue materno.

Questi Esami del sangue riescono a rilevare la trisomia 18, la trisomia 21 ed altre anomalie cromosomiche sin dalle prime settimane di gravidanza, senza rischi per il feto o la gestante.

Come funzionano questi test? Alla donna incinta viene fatto un semplice prelievo di sangue nelle prime settimane di gestazione e in laboratorio viene esaminato il DNA delle cellule fetali che si trovano in circolo nel sangue materno.

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La sindrome di Down (conosciuta anche come mongoloidismo o trisomia 21) è una delle più note patologie genetiche ed è la causa più frequente di ritardo mentale.

Alcuni studi condotti presso il King’s College di Londra hanno mostrato che questo test riesce a rilevare le trisomie con un tasso di falsi positivi tra lo 0,1% e il 3,4% se comparato con il test combinato che si esegue alla dodicesima settimana. Questi esami sono attualmente disponibili in Italia privatamente e hanno un costo non proprio sostenibile, ma rappresentano senza dubbio un’interessante passo avanti nella medicina prenatale. Tuttavia è importante ricordare che i risultati di questi test vanno sempre confermati con un’amniocentesi.

Il ginecologo Claudio Giorlandino, nei giorni scorsi, ha lanciato un allarme da non sottovalutare: questo tipo di esami comporterebbe un alto numero di falsi positivi e in certi casi le donne sarebbero state indirizzate direttamente verso l’interruzione di gravidanza invece che verso un approfondimento della situazione.

Questa la risposta dei genetisti: ''l'analisi del DNA fetale da sangue materno è impiegata a livello internazionale, nella pratica di routine diagnostica prenatale, da circa 3 anni (da oltre 1 anno in Italia). Ad oggi sono stati eseguiti centinaia di migliaia di tali test”, hanno spiegato in una nota, ribadendo che numerosi studi pubblicati su riviste internazionali hanno dimostrato che “l'analisi del DNA fetale da sangue materno è un test affidabile, che ha una precisione del 99% (addirittura del 99.9% per la trisomia del cromosoma 21 o Sindrome di Down”.

Resta indubbia la necessità di confermare con tecniche di diagnosi prenatale invasive eventuali risultati positivi.

Ultimo aggiornamento: 03 Marzo 2017
3 minuti di lettura
Commento del medico
Dr.ssa Fiammetta Trallo
Dr.ssa Fiammetta Trallo
Specialista in Ginecologia e ostetricia

La Sindrome di Down o trisomia 21 è la più famosa e temuta malattia cromosomica caratterizzata da ritardo mentale più o meno grave e malformazioni somatiche associate. Il rischio è del tutto casuale e aumenta con l’avanzare dell’età materna tanto che dopo i 35 anni il SSN offre gratuitamente sia villo che amniocentesi.

Nelle donne under 35 il rischio non è tuttavia mai zero e paradossalmente abbiamo assistito alla nascita di bambini con sindromi cromosomiche da donne giovani poiché non ritenendosi a rischio non si erano sottoposte a villo o amniocentesi. In questi casi l’ecografia morfologica del V mese, anche se eseguita con i moderni apparecchi tridimensionali, riesce a diagnosticare i difetti strutturali del cervello del feto ma non quelli funzionali e quindi non è in grado di valutare un eventuale ritardo mentale.

L’analisi del DNA fetale è un test diagnostico del DNA del futuro nascituro che, se negativo, esclude la presenza di trisomie 13,18, 21 e le aneuploidie dei cromosomi sessuali. Il test è altamente affidabile e sicuro, come confermato dai dati dei Paesi che lo hanno utilizzato già da tre anni per la diagnosi prenatale non invasiva. La positività del test potrebbe dipendere da un mosaicismo confinato solo alla placenta e non interessare il bambino. In questi casi il ginecologo deve tranquillizzare la coppia ma al contempo spiegare che il test va convalidato con l’amniocentesi. La stessa villocentesi può in taluni casi avere esiti dubbi quando l’anomalia cromosomica interessa la placenta e non il feto.

Il test non è sostitutivo della diagnosi prenatale invasiva con villo o amniocentesi perché non è possibile indagare tutte le 23 coppie di cromosomi specifiche della specie umana. È indicato in donne under 35 che non intendono eseguire diagnosi invasive e in tutte le gravidanze con alto rischio di aborto spontaneo.

Le diatribe che recentemente sono sorte sulla validità del test dipendono in parte anche da alcuni titoli di articoli comparsi sulla stampa non scientifica che hanno inneggiato all’archiviazione dell’amniocentesi. La scelta della metodica deve essere attentamente valutata dal ginecologo in base agli eventuali rischi che la donna corre per l’età e per un eventuale aborto.

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