Ottenere del piacere può coincidere con un incremento di salute? Il punto di vista del medico non può che osservare questa coincidenza, purtuttavia, se osserviamo dal punto di vista scientifico questa relazione, ovvero piacere = salute, troviamo innumerevoli contraddizioni.
A chiunque viene in mente il fatto che un piacere effimero, quale può essere il consumo di un cibo, il piacere sessuale o quello legato ad assunzione di droghe, produce effetti che, smodati, possono rivelarsi dannosi. Ciò che il nostro organismo comunica come piacere può sembrare allora ad alcuni un sortilegio diabolico verso la perdizione.
Già gli antichi elleni ci ammonirono sull'immane bilancio che gli Dei ci inflissero: tanta gioia oggi, tanto dolore domani! Il raziocinio umano, che osserva il nostro destino con cupida quanto ignorante attenzione, sembra aver costruito tutta la sua filosofia dell'esistenza su questa dannazione eterna.
Allora, osservare che un piacere più o meno prolungato abbia influsso sulla regolarità del nostro ritmo cardiaco, sulla regolazione circadiana della pressione arteriosa o delle nostre deiezioni quotidiane è, direi, un po' pleonastico. Direi più interessante osservare quale sia il prezzo dei nostri piaceri, giacché Natura Bizzarra ci ha fatto dono di tali sensazioni.
Sicuramente, possiamo stabilire una sorta di quasi-relazione tra l'intensità della sensazione di piacere e la sua durata: siccome ci sembra, nella vita che percorriamo, di passare costantemente tra sensazioni gradevoli e sgradevoli, tra salite e discese tanto ripide e frequenti da poter stabilire una specie di media emozionale (basta chiedersi “come va?” ogni minuto che passa: non credo che nessuno possa fornire nel tempo che scorre un valore uguale al precedente), la nostra percezione di piacere non può che riferirsi a una ciclicità.
Io posso rispondere al cortese vicino di casa “grazie, tutto bene”, pensando di essere sincero, se faccio riferimento a ciò che il vicino mi ha chiesto, ovvero “come ti sta andando questo periodo della vita che intercorre tra la mia domanda e quella, uguale, che ti ho fatto la settimana scorsa?”.
Tralasciando il fatto che in media non abbiamo grandi rapporti di amicizia fraterna con i vicini di casa, questa necessità di interrogare la propria felicità su periodi medio-lunghi, riflette il desiderio di non sentirci troppo in balia delle oscillazioni tra piacere e dolore. Non starò, da neurologo peraltro ignorante, a disquisire sul rapporto tra questo che dico ed i fenomeni di oscillazione dello stato dell'umore che caratterizzano gli stati mentali patologici (queste cose le abbiamo, più o meno felicemente, abdicate agli psichiatri).
Ma da semplice appassionato di fisiologia mi appare un lume: una pianta nasce, cresce e muore in un arco di tempo, cioè in un ciclo vitale. Ogni suo ciclo vitale è abbastanza breve perché io possa osservarne diversi in un lasso accettabile della mia vita e abbastanza lungo perché la sua storia possa coincidere con la mia storia.
Per dare uno spunto intuitivo e cercare di economizzare spazio sul foglio su cui sto scrivendo, vorrei lanciare un dardo associativo sulla vicenda di coloro che hanno allevato un animaletto domestico che poi muore anzitempo: il loro dolore è incommensurabile, nel vero senso del termine, dacché si rifiutano di prendere in cura un sostituto.
Ciò non è proponibile ad un giardiniere di passione: egli vede nella morte del geranio preferito la premessa felice della nascita del fiore successivo. Il giardiniere diviene immortale, supera le leggi degli Dei invidiosi e, sarà un caso, si candida sempre come sospettato numero uno negli omicidi dei romanzi gialli.
P.S: sulla neurofisiologia del maggiordomo mi vorrei riservare, in futuro, almeno un editoriale.