Sappiamo che l'assetto comportamentale dell'homo sapiens è altamente influenzato da un retaggio 'istintivo', in cui grossolanamente possiamo riconoscere il ruolo di strutture enecefaliche 'antiche', come i lobi olfattivi e le connessioni che questi ultimi contraggono con aree funzionali coinvolte con il comportamento nutrizionale, con i processi mnesici e con le reazioni neurovegetative associate ai comportamenti difensivi (attacco e/o fuga).
In realtà l'attivazione di queste aree, che anatomicamente contraggono rapporti di maggiore o minore contiguità con le altre (tanto da parlare in genere di 'circuiti', come il cosiddetto circuito limbico o l'anello di Papez), non corrisponde affatto ad un modello stereotipato di 'accensione', come può essere immaginato pensando ad un circuito elettronico come un televisore o un computer.
Il cervello è un'entità che dispone di una connettività intrinseca globale, pur mantenendo una precisa disposizione delle vie di comunicazione che connettono diverse aree anatomicamente distinguibili; in altre parole le strade sono quelle, ma i percorsi degli automobilisti sono in buona parte imprevedibili. Almeno, questo è quello che emerge dai più recenti studi di neuroanatomia funzionale impiegati nel corso di diversi tests psico-comportamentali.
Lo studio in oggetto non fa che trovare una correlazione morfometrica tra alcune aree particolarmente implicate nella fenomenologia dei comportamenti sociali tra mammiferi (ossia comuni ai nostri lontani cugini che utilizzano l'olfatto come principale via di comunicazione tra individui) e alcune caratteristiche tendenziali che, assai faticosamente, possono essere individuate nel comportamento sociale umano, come appunto la 'remissività' o la 'ribellione'.
I passaggi logico-dimostrativi sono tanto 'intriganti' quanto privi di possibili implicazioni dirette; anzitutto bisogna stabilire che una differenza di volume di un'area cerebrale tra due gruppi sia espressione di una differente struttura alla nascita piuttosto che di un processo di ipertrofia adattativa (una volta si pensava che, in virtù delle caratteristiche intrinseche dei neuroni, che non si replicano in età extrauterina, la distribuzione volumentrica delle diverse aree del cervello fosse determinata solo dai geni, oggi sappiamo che non è così), poi bisognerebbe stabilire che tutti coloro che presentano un dato assetto comportamentale abbiano un tot di sviluppo dell'area orbito-frontale rispetto al gruppo di confronto.
Su quest'ultimo aspetto entra in gioco un'altra 'bestia nera' del moderno metodo scientifico applicato alle scienze bio-mediche: la statistica. A rischio di essere brutalmente smentito, non conosco alcuno studio clinico (cioè compiuto su soggetti viventi) in cui i risultati di un esperimento diano luogo ad una conferma al 100% di un'ipotesi: tutti e cinquanta i soggetti a cui ho somministrato il farmaco A hanno sviluppato il fenomeno X e nessuno dei 50 a cui ho somministrato il farmaco B ha sviluppato il fenomeno X.
Di fronte a quest'estrema variabilità tra ipotesi e risultati, la ricerca biomedica chiede supporto alla statistica, cioè alle scienze probabilistiche. Quindi lo studio che sto commentando non dice che "tutti quelli che hanno un certo sviluppo del lobo orbito-frontale sono remissivi o ribelli, bensì che la presenza di un certo sviluppo del lobo orbito-frontale potrebbe probabilisticamente associarsi al fatto di essere un po' più ribelli o remissivi".
Capisco che usare il virgolettato di cui sopra non sarebbe un buon esempio di comunicazione giornalistica efficace e diretta. Però, con tutto il rispetto verso le buone intenzioni e la professionalità di ricercatori e giornalisti scientifici, mi sento di esprimere una preoccupazione circa il fenomeno socio-culturale che ho cercato di esporre: attenzione a queste semplificazioni, ovvero al voler portare forzatamente delle relazioni di causa ed effetto nell'osservazione dei comportamenti umani.
Ho ascoltato distrattamente una notizia alla radio, qualche giorno fa: i ricercatori di un istituto di ricerca dell'Arizona hanno trovato una sostanza nel sangue che permette di individuare i criminali all'età di due anni di vita. Ho pensato immediatamente, e con spavento, a brutti precedenti già vissuti nella storia recente dell'umanità, e forse un po' troppo presto già dimenticati.
Per approfondire leggi la scheda.