I nuovi farmaci a bersaglio molecolare, associati alla chemioterapia standard, hanno potenziato e arricchito in modo sostanziale le possibilità di cura dei tumori solidi come il
Oltre al miglioramento della qualità della vita dei pazienti, consentono già, e consentiranno sempre più in futuro, di aumentare la sopravvivenza in caso di tumori avanzati e metastatici. La radicale novità rispetto al passato è che proprio in caso di malattia metastatica non operabile, questi farmaci sono oggi utilizzati non più a scopi palliativi, ma con vera intenzione curativa.
In molti casi, infatti, le Metastasi epatiche non operabili di tumori del colon-retto possono diventare operabili con un trattamento efficace: quanto più è alto il tasso di risposta a quel trattamento tanto più sarà elevato il tasso di operabilità delle metastasi. La risposta del Tumore alla terapia, nel caso dei farmaci a bersaglio molecolare, dipende dalle caratteristiche genetiche di quello specifico tumore, che lo rendono sensibile o meno all'azione del farmaco.
Nel caso del farmaco diretto contro il recettore del fattore di crescita epidermico (EGFR) cetuximab, per esempio, una delle condizioni necessarie per la sua efficacia (e dunque per la sensibilità del tumore alla terapia) è che il gene che codifica per la proteina KRAS non abbia subito alcuna mutazione (ciò che si verifica in oltre il 45% dei pazienti).
Il tasso obiettivo di risposta alla terapia, nei tumori KRAS non mutati (cosiddetti wild-type) arriva al 70% quale che sia il regime chemioterapico utilizzato. E la Terapia rende possibile una resezione curativa completa, cioè con assenza di residuo neoplastico rilevabile istologicamente, nel 34% dei casi (un paziente su 3).
La possibilità d’intervenire chirurgicamente per l’asportazione delle metastasi epatiche richiede in particolare che sia possibile rimuovere del tutto le metastasi preservando una quantità di fegato sufficiente alla funzionalità dell’organo (almeno il 30% del tessuto epatico) nei mesi immediatamente seguenti l’intervento.
Trascorso tale periodo, infatti, grazie alla sua capacità di rigenerarsi, il fegato riesce in genere a recuperare le dimensioni iniziali. Le probabilità di successo dipendono, invece, dall’aggressività del tumore primitivo e dallo stadio cui questo era giunto al momento della diagnosi e da numero, dimensioni e distribuzione delle metastasi nel fegato.
Ma, a cinque anni dall'intervento, la probabilità di sopravvivenza è comunque molto superiore a quella dei pazienti non operati. Secondo il Registro internazionale delle metastasi epatiche (Livermet), i pazienti che riescono a giungere all’intervento chirurgico radicale al fegato, indipendentemente da quale trattamento abbia reso possibile questo traguardo, hanno forse il 50% di probabilità di non subire ricadute a distanza di 5 anni e almeno la metà di superare liberi da malattia il traguardo dei 10 anni: un obiettivo che difficilmente sarebbe stato immaginabile anche soltanto pochi anni or sono.
Oggi la ricerca sta concentrando i suoi sforzi per cercare di migliorare ulteriormente queste percentuali, fermo restando il fatto che per il tumore del colon-retto, le 'carte più alte' da giocare restano ancora e sempre la prevenzione primaria e la diagnosi precoce.
Per saperne di più:
Fonti:
- De Roock W et al. Lancet Oncol. 2011;12(6):594-603
- Folprecht G et al.Lancet Oncology 2010;11(1):38-47
- García-Foncillas J, Díaz-Rubio E.ClinTranslOncol 2010;12(8):533-42
- Kohne C-H.Annals of Oncology 2010; 21; (Supplement 7): vii134–vii139
- Livermet Survey, International registry of liver metastases of colorectal cancer: www.livermets.com
- Zwierzina H, CurrOpinMolTher 2010;12(6):703-11