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Violenza domestica: l'intervento delle madri tutor

Violenza domestica: l'intervento delle madri tutor

Quanto sono efficaci i programmi che vedono coinvolte le madri tutor a sostegno delle vittime di violenza domestica?

Il 25 novembre, dagli Stati Uniti all’Italia, il mondo delle associazioni e delle istituzioni sarà unito in occasione della Giornata Mondiale per l’eliminazione della violenza sulle donne.

I dati relativi alla violenza sulle donne in Italia non sono precisi. Troppi gli episodi non denunciati e moltissimi i casi di violenza domestica e familiare che stentano ad emergere e che vedono vittime le donne. La donna vittima della violenza tra le mura domestiche spesso sopporta questo dramma anche per molti anni, prima di denunciare e in qualche caso non denuncia mai, trascorrendo la vita in un clima familiare avvelenato e molto rischioso. Come aiutare queste donne?

Indubbiamente può essere utile parlarne sempre più diffusamente, sostenere i centri di accoglienza e di ascolto per le vittime della violenza domestica, educare uomini e donne sin da bambini ad un rispetto dell’altro, ma si può andare anche oltre, fino alla radice del problema, fino alla casa della vittima e del carnefice.

E’ quanto afferma uno studio pubblicato su Family Practice condotto in Olanda. A svolgere un vero e proprio consuelling psicologico sono le madri tutor, donne opportunamente formate che vengono chiamate dai medici di famiglia ogni qualvolta entrano in contatto con una donna che ha un compagno violento. Le madri tutor afferenti al programma denominato Mentor mothers for support and advice (Memosa) si recano a casa della vittima e offrono un sostegno psicologico e pratico.

I risultati preliminari emersi da questa attività sono interessanti: in quattro mesi l’aiuto fornito dalle madri tutor ha consentito di prevenire disturbi psichici sulle donne abusate e sui loro figli e ha impedito la trasmissione di comportamenti violenti da genitore a figli.

L’obiettivo delle sette madri tutor – che sono state reclutate all’interno di istituti e centri specializzati - non è stato, dunque, solo quello di convincere la donna a denunciare l’abuso, ma anche di ridurre gli effetti della violenza domestica sulle vittime come la Depressione (che colpisce più della metà delle donne abusate) e i disturbi mentali.

Delle 63 donne abusate, tutte con figli minorenni, 43 hanno portato a termine il programma: alla fine 25 di queste non erano più vittime della violenza del partner, mentre 18 erano sottoposte ad un livello di violenza domestica ridotto. Naturalmente non si può affermare che il merito di questi cambiamenti sia esclusivamente dell’intervento delle madri tutor, ma i risultati suggeriscono che questo tipo di programma può essere efficace.

Quello al centro dello studio olandese non è un progetto del tutto nuovo. La tutor è una figura già presente da tempo negli Stati Uniti dove sono attivi alcuni programmi di consuelling per le vittime della violenza familiare che hanno nelle visite a domicilio il loro strumento principale.

Ultimo aggiornamento: 21 Novembre 2017
3 minuti di lettura
Commento del medico
Dr. Enzo Brizio
Dr. Enzo Brizio
Medico di Medicina generale

Come si afferma nell'articolo, la quantificazione del fenomeno relativo alle violenze familiari è di fatto quasi impossibile, dal momento che le vittime (siano donne, bambini o, assai più raramente, uomini) spesso non denunciano e non richiedono aiuto: questo rende difficilissimo anche intervenire, perché quello che appare in superficie rischia di essere la punta di un iceberg devastante che mina la salute psichica e mentale di soggetti indifesi.

Occorre fare un discorso leggermente differente per quanto concerne le donne e i bambini. A livello minorile esiste in Italia il Telefono Azzurro, nato nel 1987 ad opera del prof. Caffo, neuropsichiatra infantile, che recepisce richieste di aiuto da parte di minori, richieste che purtroppo sono in continuo aumento: dal 2006 al 2012 le telefonate sono triplicate e hanno raggiunto la cifra di 10.000 chiamate (circa 4-5 al giorno!).

In questi numeri sono compresi tutti i casi di violenza su minori (fisica e sessuale, prevalentemente) che, secondo gli operatori di questa associazione, avvengono per oltre il 60% dei casi all'interno delle mura domestiche e ad opera di familiari; non vengono ovviamente conteggiati i casi passati sotto silenzio per paura o per non conoscenza dell'organizzazione telefonica, per cui a voler stabilire quanti siano ogni giorno gli episodi di violenza su minori si entra nel campo delle ipotesi non provate e si rischia di sottostimare il fenomeno.

Se questo riguarda i minori, la parte relativa alle donne è ancora più misconosciuta: poche vittime denunciano la violenza, sia essa fisica, psicologica, economica, sessuale, di mobbing o di stalking. Esiste il Telefono Rosa, nato nel 1988 con gli stessi scopi di aiuto del suo corrispondente per i minori, ma anche in questo caso i problemi non sono pochi, nonostante la vittima sia maggiorenne e dotata di capacità di intendere e volere: entrambe le organizzazioni si basano infatti sul recepimento del problema tramite denuncia della vittima e sulla successiva consulenza da parte di volontari mediante indirizzamento verso le sedi più adatte a bloccare la violenza.

Sono presenti però grossi problemi che impediscono la piena realizzazione degli scopi prefissati: innanzitutto è necessario che la vittima parli e riveli le violenze che subisce, e questo è difficile che avvenga, anche di fronte a persone che per professione (medico di famiglia, psicologo, assistente sociale) o per missione (sacerdoti) possono essere più facilmente informate del problema. Il silenzio è sicuramente il principale ostacolo: le vittime, pur sapendo di potersi ribellare e porre fine alla loro sofferenza, non lo fanno, per paura di ritorsioni, per paura dell'inutilità della denuncia, per attaccamento al proprio torturatore nonostante tutto, per impossibilità di condurre una vita autonoma economicamente. Il risultato finale è il silenzio e addirittura la negazione della violenza.

Ricordo che tra le mie pazienti vi erano due donne con chiari segni di violenza familiare. Ma le poverette, per alcuni dei motivi suddetti, non hanno mai ammesso di venire picchiate e anche a domande precise hanno sempre negato, tanto che sono dovuto intervenire contro la loro volontà (ed entrambi i casi sono finiti bene, per fortuna, con l’aiuto degli operatori sociali e delle forze dell’ordine).

Oltre al silenzio, un secondo grave problema è rappresentato dalla mancata conoscenza dell’esistenza di possibilità di aiuto. Il progetto descritto nell'articolo è ottimo, perché prevede l'invio diretto a domicilio di una persona specializzata e non si limita a recepire la telefonata. Ma anche in questo caso il tutto deve prendere origine da una segnalazione da parte della vittima.

Se questa non viene effettuata qualsiasi programma ambulatoriale o domiciliare è destinato a fallire. Come affrontare quindi efficacemente il problema? Credo che l'unica via sia quella di intervenire a livello preventivo, parlandone sin dalle età più giovani, inviando nelle scuole personale specializzato che metta a conoscenza i bambini e le bambine dei pericoli che potrebbero un domani correre da adulti, invitandoli a parlare sempre dell'eventuale problema con qualcuno e a non chiudersi a riccio nel proprio dolore, vanificando così qualsiasi possibilità di risoluzione.

Solo l'apertura e la forza psicologica di confessare possono eliminare il problema: i mezzi per porre fine alla violenza esistono, ma devono essere richiesti. I bambini e soprattutto le donne devono sapere che il loro grido di aiuto non verrà ignorato, ma deve essere prima di tutto sentito.

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