Una forma di abuso e violenza sommersa di cui si parla ancora poco, ma che accomuna molte donne in Italia. È la violenza ostetrica, un tema delicato che verrà affrontato mercoledì 20 settembre (ore 10.30) presso Palazzo delle Esposizioni a Roma, nell’ambito della presentazione dei dati della prima ricerca nazionale sulla violenza ostetrica nel nostro paese (“Le donne e il parto”) realizzata da Doxa e dall’Osservatorio sulla Violenza Ostetrica Italia.
“Le madri hanno voce e producono dati sulla violenza ostetrica”, si legge sul sito dell’Osservatorio che nasce come proseguimento della campagna social “#bastatacere” con l’obiettivo di custodire e divulgare le testimonianze raccolte, dando voce alle madri e sensibilizzando la società nei confronti del fenomeno della violenza ostetrica.
Un grave problema di salute pubblica
Per una futura mamma, la gravidanza rappresenta un’esperienza che dovrebbe essere vissuta con tranquillità, per godere di uno dei momenti più belli ed emotivamente intensi della sua esistenza. Ciò nonostante, per molte donne la nascita del loro bambino è stata (ed è) vissuta come un trauma riconducibile a una forma di violenza ostetrica. Maltrattamenti fisico o verbali, disinformazione, umiliazione, violazione della privacy, abbandono, procedure mediche coercitive oppure non acconsentite costituiscono abusi nascosti sotto una normale prassi ospedaliera.
Da qui nasce l’importanza dell’Osservatorio, ovvero – si legge sul sito – “un organismo multidisciplinare gestito dalle madri, nato dall’esigenza di monitorare l’incidenza delle pratiche che costituiscono questo tipo di violenza ai danni delle donne nel loro percorso di maternità”.
Storie di donne troppo spesso inascoltate, dimenticando che la violenza ostetrica rappresenta un grave problema di salute pubblica globale che mette a repentaglio sia il benessere sia lo stato di salute, a tutti i livelli, della madre e del bambino, come affermato anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nella Dichiarazione del 30 settembre 2014 (“La prevenzione ed eliminazione dell’abuso e della mancanza di rispetto durante l’assistenza al parto presso le strutture ospedaliere”).
Questa dichiarazione sottolinea quali siano i trattamenti che le donne possono trovarsi a subire durante l’assistenza al parto. Qualche (triste) esempio? Si va dall’abuso fisico diretto e/o verbale all’assenza di riservatezza, dal rifiuto di offrire una consona terapia per il dolore alla trascuratezza nell’assistenza al parto.
L’11 marzo 2016 è stata depositata una proposta di legge – “Norme per la tutela dei diritti della partoriente e del neonato e per la promozione del parto fisiologico” – per richiamare al rispetto dei diritti della madre e delle persone che nascono, “perché garantire i diritti significa anche garantire sicurezza e salute”. La proposta di legge introduce il reato di violenza ostetrica.
L’occasione (mancata) del Fertility Day
La ricerca realizzata da Doxa e OVOItalia per la prima volta pone l’accento su un argomento particolarmente sentito dalle donne che si apprestano a diventare madri o che hanno già vissuto esperienza traumatiche. L’iniziativa è nata proprio con l’intento di tutelare la salute femminile nel momento più emozionante. Obiettivi nobili che, a tratti, ricordano quelli che hanno dato vita al meno fortunato Fertility Day, celebrato il 22 settembre del 2016.
Il primo Fertility Day, la Giornata nazionale dedicata all’informazione e formazione sulla fertilità umana, è stato promosso dal Ministero della Salute con l’obiettivo – come riporta la pagina dedicata sul sito istituzionale – “di aumentare, soprattutto nei giovani, la conoscenza sulla propria salute riproduttiva e fornire strumenti utili per tutelare la fertilità attraverso la prevenzione, la diagnosi precoce e la cura della malattie che possono comprometterla e le tecniche di procreazione medicalmente assistita”.
Un’iniziativa lodevole, che però all’atto pratico si è rivelata maldestra: tra una campagna promozionale accusata di sessismo e dunque ritirata, una nuova campagna tacciata di razzismo sulla quale si è dovuto fare marcia indietro, revoche di incarichi dirigenziali e aperture di procedure disciplinari, il vero obiettivo dell’iniziativa – sensibilizzare sul tema della fertilità e sul rischio della denatalità – è passato in secondo piano.