Nel film del 2004 “L’uomo senza sonno” il protagonista, interpretato da Christian Bale, è un operaio di fabbrica che non riesce a dormire da un anno a causa di un non meglio definito shock. Il suo fisico, fiaccato dall’assenza di riposo, ha un aspetto cadaverico e la sua mente inizia a dare segni di cedimento. Dal cinema alla realtà le distanze, spesso, sono più brevi di quanto si pensi. E il rimando a questa pellicola è quasi scontato, in seguito ai risultati dello studio effettuato da un team di ricercatori coordinato da Michele Bellesi, dell’Università Politecnica delle Marche, che ha approfondito, presso il laboratorio di Chiara Cirelli all’Università del Wisconsin, gli effetti della privazione di sonno nei topi.
Le cellule cannibali
Nell’ambito di questo studio - pubblicato sul Journal of Neuroscience - è stato confrontato il loro cervello in tre condizioni differenti:
- roditori che avevano potuto dormire regolarmente;
- topi tenuti svegli per 8 ore in più rispetto alla norma;
- roditori che non riposavano da 5 giorni di fila.
In particolare l’osservazione dei ricercatori ha interessato le cellule della glia, responsabili della manutenzione dell’ambiente cellulare neurale: alcune di queste, gli astrociti, sono in grado di “tagliare” le sinapsi non importanti rimodellando le connessioni tra neuroni; le cellule della microglia, invece, si muovono alla ricerca di neuroni danneggiati, placche e agenti infettivi da eliminare.
I risultati della ricerca
Quali sono stati gli esiti dello studio? Nei topi che avevano dormito normalmente, gli astrociti risultavano attivi nel 6% delle sinapsi (le connessioni tra neuroni). Nei topi in debito di 8 ore di sonno, gli astrociti stavano intervenendo sull’8% delle sinapsi. Nell’ultimo gruppo - quello delle cavie che non riposavano da 5 giorni consecutivi - queste cellule sono risultate impegnate sul 13,5% delle sinapsi, con porzioni di connessioni letteralmente annientate a causa della mancanza di sonno. Una condizione che di per sé potrebbe anche risultare positiva, “perché si è visto - spiega Bellesi - che le sinapsi colpite sono quelle più ‘anziane’, usate da più tempo e dunque più ‘stanche’. Sono come vecchi mobili che probabilmente hanno bisogno di più attenzione e pulizia”.
Non soltanto gli astrociti si sono mostrati più attivi nei roditori assonnati che in quelli riposati, ma anche le cellule microgliali sono risultate molto più indaffarate nei roditori con privazione cronica di sonno. E sono proprio queste ultime ad impensierire di più i ricercatori, poiché un’eccessiva attività di queste cellule è stata osservata in malattie neurodegenerative. In particolare, rimarca Bellesi, “un’attivazione microgliale sostenuta è stata osservata nella malattia di Alzheimer e in altre forme di neurodegenerazione”.
Si tratta di evidenze scientifiche che potrebbero spiegare - il condizionale è d’obbligo perché ad oggi la sperimentazione è stata condotta solo sugli animali - perché chi è affetto da carenza cronica di sonno sembri più predisposto a sviluppare forme di Demenza.
Quale sarà il prossimo passo? Indagare in modo sempre più approfondito la durata di questo “cannibalismo cerebrale” da insonnia cronica.