Molto diffusa negli Stati Uniti negli Anni ’90, è ancora oggi popolare in Italia e in Europa: è la dieta a zona, un metodo per dimagrire elaborato oltreoceano dal biochimico americano Barry Sears, presidente della Inflammation Research Foundation e ricercatore alla Boston University School of Medicine e al Mit, Massachusetts Institute of Technology.
Come funziona la dieta a zona? Partiamo dal nome del celebre programma alimentare, spazzando subito via un falso mito: il termine “zona” potrebbe erroneamente far pensare che la dieta elaborata dal nutrizionista statunitense miri a far perdere massa grassa e a rimodellare solo una specifica parte del corpo.
Non è così. "Zona" è una parola utilizzata in farmaceutica per indicare la quantità di un farmaco necessaria affinché quest’ultimo sia efficace. Se è vero che “siamo quello che mangiamo”, secondo Sears il farmaco più importante per il nostro corpo è il cibo, che dobbiamo utilizzare al pari di un medicinale dosando tipologie, quantità e tempi di “somministrazione” con lo scopo di ottenere il miglior stato di salute e benessere per l’organismo.
La zona è dunque la condizione ottimale che possiamo ottenere per il nostro corpo, lavorando su quattro pilastri, di cui l’alimentazione costituisce il primo, fondamentale, step: cibo, esercizio fisico, gestione dello stress, integrazione di Omega 3.
Dieta a zona per dimagrire: come funziona?
La dieta a zona non si concentra strettamente sulle calorie, ma sui livelli di proteine per mantenere la massa muscolare. Questa quantità di proteine è individuale: una volta calcolato il fabbisogno proteico giornaliero totale di ciascuno, lo si divide in parti più o meno uguali, da distribuire nell’arco della giornata.
A ogni pasto, poi, questa quantità di proteine va bilanciata con una quantità di carboidrati superiore di un terzo, aggiungendo una fonte di grassi monoinsaturi (come l’olio extravergine di oliva). La composizione del pasto deve rispettare lo schema di 40-30-30. Le calorie, cioè, saranno assunte secondo questa rigida proporzione: 40% derivanti da carboidrati, 30% da proteine e 30% da grassi. Il rapporto stabilizza in maniera ottimale i livelli di zuccheri nel sangue (glicemia).
Dieta a zona, cosa si mangia
Lo studioso americano inventore della dieta a zona divide i cibi in favorevoli, sfavorevoli o da limitare, proprio in base all’indice glicemico che hanno. Ok allora alle fonti proteiche magre come carni bianche e pesce, ok anche a carboidrati a basso indice glicemico, e cioè verdure non amidacee (tutte eccetto patate, zucca, carota cotta, barbabietola) e frutta (tranne banane, il mango, la papaia, l’anguria, il caco), olio d’oliva e frutta secca in guscio ma anche uva, datteri e fichi.
Cosiddetti carboidrati favorevoli sono considerati anche l’avena decorticata e il vino rosso (da assumere con moderazione). Tra i carboidrati da limitare troviamo cereali e derivati (pane e pasta) e succhi di frutta. Da evitare sono invece i dolci, le bevande alcoliche e quelle zuccherate. L’alimentazione quotidiana va suddivisa in cinque pasti giornalieri: tre principali e due spuntini. A grandi linee, lo schema statunitense della dieta a zona ricalca dunque quello della dieta mediterranea, di cui, secondo alcuni, costituirebbe una sorta di evoluzione.
La colazione è il pasto più importante della giornata. Una colazione tipo potrebbe prevedere dello yogurt greco con aggiunta di mandorle. Per pranzo, antipasto di verdure alla griglia, pesce grigliato e frutta. A cena, pollo alla griglia con verdure grigliate o al forno e frutta.
Per gli spuntini, si può mangiare un frutto e un pezzo di formaggio oppure un bicchiere di vino rosso con un pezzo di formaggio. Il menu deve variare ogni giorno, seguendo però sempre lo schema del rapporto bilanciato tra i suoi componenti. Largo quindi alla fantasia delle ricette, per non rischiare di annoiarsi ed essere ripetitivi.