Caro collega, sono anni che mi occupo di questo tipo di problema. Tuttavia credo che tu abbia, comprensibilmente considerando il tuo punto di vista di paziente, acquisito forse più informazioni di quelle di cui dispongo io. E' chiaro che si tratta di patologie "di confine", in cui non esistono protocolli terapeutici standardizzati e di chiara efficacia, lasciando spesso spazio ad approcci tanto pleiomorfi (dalle neurolisi alle terapie "antiossidanti") quanto incerti, oppure pericolosi, talora semplicemente campati in aria. La mia esperienza suggerisce, umilmente, un'unica strada: se si vuole sperare in un successo (anche solo parziale), bisogna setacciare il paziente in tutto il suo personale, specifico e inusuale persorso patogenetico. Tanto sono malattie bizzarre e relativamente rare, quanto più riflettono il sommarsi (perlopiù casuale) di eventi pregressi che sono stati in grado di promuovere il processo patologico. Da questo approccio conoscitivo, ti assicuro, mi sono imbattuto in tantissime "sorprese". Scendendo nei particolari, insomma, gli scenari apparentemente monocromi della "evidence based medicine" svelano delle tavolozze di mille colori.
Saluti