La Fondazione ISTUD ha messo a punto un innovativo percorso di formazione sulla Medicina Narrativa.
paginemediche.it intervista la Dott.ssa Maria Giulia Marini, Epidemiologa, responsabile dell'Area Sanità e Salute della Fondazione ISTUD.
Lo scorso 25 ottobre ha preso il via il primo modulo del Master, è possibile tracciare già un primo bilancio?
La composizione del gruppo di persone presenti alle prime lezioni del Master di Medicina Narrativa Applicata, le loro diverse discipline di origine - da specialisti della comunicazione, a professionisti d'impresa, infermieri, psicoterapeuti, farmacisti e medici - fa capire come la Medicina Narrativa abbia già una nuova direzione inaspettata: dialoghi e dialettiche sui diversi 'punti di vista' e ruoli, ciascuno con i propri sistemi professionali e valoriali. Non è stato facile, perché la narrazione catalizza l'emersione dei tormenti delle separazioni tra classi di professionisti; ma il passaggio intricato si è rivelato necessario, con momenti di pathos estremi, di rabbia, di Dolore provocato da ricordi ispirati da alcuni lavori di scrittura. Grazie al disvelamento di sé, al di là della 'maschera', il gruppo si è amalgamato diventando coeso e conscio di essere pioniere su nuove rotte.
Brian Hurwitz, tra i docenti del Master, invita i colleghi del corso a non tenere il sapere per sé, ma a condividerlo, insomma a costruire una rete cooperativa e non competitiva.
Hurwitz tocca un Nervo scoperto, quello della competizione, totalmente inutile in un momento così giovane per la Medicina Narrativa in Italia: se si deve creare massa critica al punto tale da riuscire a inserirla nei percorsi di studi universitari, la medicina basata sulla narrazione non può seguire le logiche campanilistiche degli interessi di ASL e Regioni: questo non significa che le ASL e le Regioni non possano occuparsi di medicina narrativa in modo autonomo, anzi, ogni impulso locale di applicazione di questa disciplina è un segnale di uscita dalla neghentropia cioè dell'assenza di energia.
È però doveroso confrontarsi sulla metodologia scientifica adottata, imparare reciprocamente con senso critico, e con possibilità di espressione di giudizio, questo perché, come per ogni altra branca della scienza, anche la Medicina Narrativa ha bisogno di metodo per contenere l'improvvisazione, evitando la caduta verso un'amena conversazione da salotto intellettuale. Ho scritto e pubblicato che la Medicina Narrativa è democratica e quindi appartiene a tutti in quanto ciascuno di noi è Portatore della propria storia di salute e malattia, eppure ci sono dei criteri scientifici con cui operare; ogni persona può generare una storia per interpretarsela, ma per ricavare dei benefici organizzativi per il sistema sanitario, evitiamo i lettori improvvisati di processi e percorsi di cura attraverso la narrazione.
L'invito di Hurwitz è legato al bisogno che la scienza deve possedere per non essere autoreferenziale; confrontarsi continuamente con altre fonti, sinergia tra esperienze passate, presenti e future per arrivare là, in alto, dove ci sono le torri d'avorio dei poteri 'forti', le direzioni, gli assessorati, i ministeri, le società scientifiche, la stampa. Arrivare là non per apparire ma perché questa stasi possa allontanarsi e far rifiorire il dinamismo e l'ottimismo. La Medicina Narrativa è vitale e la sanità italiana ne ha bisogno come rimedio di cura, inutile sprecare energie in assenze di cooperazione: quali? La prima ad esempio, linkarsi reciprocamente tra siti italiani e stranieri che si occupano di Medicina Narrativa, commentarsi per costruire assieme articoli scritti online. Prime regole di base per una buona cooperazione.
Dunque la Medicina Narrativa per "curare" la Sanità oltre che la persona?
A parte le tecnologie che avanzano fulminanti, i modelli organizzativi in diverse strutture sono la quintessenza della neghentropia. Mi sto riferendo ai sistemi direzionali, non ai curanti che corrono giorno e notte e si prodigano per dare cure migliori con mezzi sempre più scarsi. Forse la Medicina Narrativa che serve non solo per i pazienti, ma soprattutto per chi oggi è dedito a curare, sarebbe una buona cura per la sanità se si realizzassero operazioni d'ascolto globale presso le direzioni sanitarie e le direzioni generali. Alcuni rari manager illuminati l'hanno sperimentata e utilizzata per sanare conflitti interni di personale (chi l'avrebbe mai detto? Ecco una nuova strada aperta attraverso i racconti di professionisti e pazienti) e per restituire fiducia ai curanti che avevano paura di non sapere essere all'altezza di malati molto gravi (smentiti dalle narrazioni dei pazienti).
I racconti possono essere il punto di partenza per migliorare il servizio di cura ma non si tratta di un percorso semplice, quali dinamiche potrebbero impedirlo?
Avvicinarsi alla narrazione genera tanto nuovo ignoto da elaborare e interpretare, con ricadute pratiche e quotidiane nel proprio lavoro; per alcuni l'ignoto fa paura; il testo libero, il foglio bianco su cui lasciarsi andare è così destrutturato e caotico, è un mare da attraversare. Uno dei pilastri di questa disciplina poggia sul fatto che la verità sorge dalla scrittura riflessiva ma abbiamo avuto le prove, da testimonianze dirette in aula, di menzogne che continuano a comparire anche con la narrazione scritta, una straordinaria capacità di continuare a mentire a sé stessi e al pubblico lettore.
Credo che questo tema di insieme tra verità e menzogna conscia o inconsapevole sia una questione chiave per interpretare l'uso che poi possiamo fare delle storie per migliorare il servizio di cura. Avremo persone più aperte e più consapevoli, che si sono lette in profondità - anche senza il ricorso all'analista - e che giungono più facilmente a esprimere una propria interpretazione verosimile del percepito della storia; e persone più oscure, ombrose che scrivono pezzettini caotici di narrazione perché non ci vogliono far capire, anche perché quello che poi abbiamo colto molto probabilmente glielo diremmo oppure addirittura altri copioni di storie interamente finte. Il discorso ambiguo: è un male? No. Dobbiamo solo prenderne atto e sapere che non possiamo eliminarlo e scartarlo ma accettarlo perché quello è il possibile inizio per andare oltre.